Generazioni di lettori sono rimaste affascinate dal racconto della natura selvaggia di Zanna bianca e de Il richiamo della foresta, elevando Jack London a bardo della wilderness americana. Martin Eden invece, non potrebbe essere più diverso: riscoperto negli ultimi decenni, appartiene agli scritti meno conosciuti dell’autore californiano, ambientati nei bassifondi dei grandi centri industriali. Protagonista di questa parte di produzione è la base della piramide sociale americana, quella che tenta in tutti i modi di affermarsi nella società capitalista di fine Ottocento.

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Martin Eden è un rozzo marinaio che, per un caso fortuito, accede ai salotti dell’America bene, rappresentata nel romanzo dalla famiglia Morse. È un universo distante dal suo, che contemporaneamente lo mette a disagio e lo affascina tremendamente. Sente che la sua vita ha un nuovo scopo: vuole appartenere a quel mondo e conquistare Ruth, la bella e giovane figlia dei Morse. Potrà raggiungere il suo obiettivo solamente colmando la distanza culturale e sociale che intercorre tra loro. Inizia così la lenta metamorfosi di Martin: è determinato a diventare un “mercante di cervello”, a vivere di scrittura.

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Comincia così il cammino del self-made man Martin: studia,si esercita a scrivere e invia i suoi racconti ai giornali, nella speranza di qualche pubblicazione. Il successo letterario però non arriva, le condizioni economiche peggiorano a tal punto che è costretto a vivere una vita ancora più miserabile di prima. Anche la relazione con Ruth, fortemente osteggiata dalla famiglia borghese, non decolla: Martin è accusato di essere un fomentatore di folle e socialista; tanto basta per troncare il loro legame. Quando pensa di essere incompreso dal mondo e di aver fallito, ecco arrivare la svolta: il suo primo romanzo, rifiutato per anni, viene pubblicato e diventa un casoeditoriale. Scopre però che il pubblico non è interessato a ciò che scrive, alla forza espressiva delle sue parole, è attratto dal personaggio del momento, lo leggono per moda. Martin precipita così nell’indifferenza: non gli interessa la continua richiesta di scritti; neppure il ritorno di Ruth muove qualcosa in lui. Ormai vuoto, sente il desiderio di andarsene altrove, di tornare lì dove la vita gli sembra meno inutile e realmente vissuta: l’oceano che per anni ha solcato è l’unico spazio che può dargli pace. Ha bisogno di riposo, e lo troverà sul fondo del mare.

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I punti di contatto tra autore e protagonista sono molti, questo fa di Martin Eden un romanzo autobiografico a tutti gli effetti. Il passato come marinai abituati a lottare per sopravvivere nella giungla urbana americana, il rapporto con l’alcol, persino una somiglianza fisica li accomuna. A legarli indissolubilmente è la ricerca di un riscatto sociale che passa attraverso la cultura e la scrittura. Dopo anni di anonimato e sacrifici per inseguire il loro sogno, Jack e Martin giungono al successo: per l’autore sarà proprio Il richiamo della foresta l’opera che gli aprirà le porte dei salotti intellettuali. Incarnano perfettamente l’ideale del rag to riches, altro caposaldo del pensiero americano assieme al self-made man; sono finalmente sulla cima dell’edificio sociale. Questa nuova prospettiva però permette loro di aprire gli occhi e di osservare il quadro generale: capiscono che la società mercifica il loro lavoro, al punto che dubiteranno delle loro reali doti creative. “Se vuoi lavorare per le riviste, devi scrivere quello che vogliono loro. Le riviste fanno il loro gioco: se vuoi entrare nel loro gioco, devi rispettarne le regole”: così diceva London, così pensava Martin. Hanno cercato di rimpossessarsi di una visione romantica della società prima di riconoscere la desolazione della modernità, votata al nichilismo e all’individualismo.

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Martin Eden è un romanzo bivalente dalla prima pagina fino all’ultima: speranza e rassegnazione, successo e fallimento, realtà e finzione si mescolano brillantemente. Restituisce la complessità e i limiti dei valori non solo della società dell’epoca, ma anche di quella contemporanea, non ancora svezzata dall’individualismo. E infine permette di sfiorare l’esistenza di un autore troppo spesso oggetto di polarizzazioni da parte della critica e della politica: London è o un “rosso” rivoluzionario e discepolo di Marx, o un individualista nietzschiano promotore della superiorità della razza. La verità? Probabilmente è stato un intellettuale che non ha accettato le ideologie così come venivano proposte, ma ha sempre provato a rivederle, criticarle e adattarle  ai contesti e alle esperienze vissute.

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