Il fantasy italiano prospera: le penne degli autori emergenti creano storie che appassionano, ispirati dai giganti del passato e, allo stesso tempo, mossi dalla volontà di andare oltre al classico scontro tra cavaliere e drago. Attenzione: gli archetipi del fantasy DEVONO esserci, il lettore del genere li cerca, però non sono più sufficienti. Un po’ come in una campagna di Dungeons & Dragons: bellissimi i momenti in cui si tirano vagonate di D20, ma è altrettanto bello creare e seguire la lore dei personaggi. Ecco, Caccia al serpente bianco, primo libro di Giulio Costa, mi ha trasmesso le stesse vibes di una serata GDR tra amici .

Aren è un mercante con un passato da guerriero formidabile; il presente, invece, è vissuto in funzione dell’unico figlio rimasto Ura (Wurr, il secondo, ha perso tragicamente la vita): deve tenerlo al sicuro, in un mondo in cui le minacce non smettono di crescere. Una guerra è alle porte: la strega Zmeya, regina delle ceneri, assieme a re Gaul detto il Cannibale, sta preparando un attacco senza precedenti contro le ultime città libere. Con loro, un alleato mostruoso: il Gigante Strangolatore, una bestia strisciante che porta con sé morte e distruzione. La speranza risiede in un’antica profezia e in un’arma dai poteri leggendari.

“Troverai la scure. Ma solamente se porterai con te il guerriero venuto dal mare e il lupo che esce dalla bruma”: Aren sa che è lui quel guerriero, che verrà coinvolto in una spedizione senza precedenti: per tenere al sicuro suo figlio, non resta che accettare. Come in ogni sessione di ruolo, si forma una compagnia di nani, elfi, principi, stregoni, guerrieri e cacciatori di mostri, sulle cui spalle grava il futuro del mondo intero: per un tolkieniano esageratamente ortodosso come me, un aspetto che si avvicina troppo alla compagnia di Frodo & Co.

Non parlerò delle sfide che Aren e i suoi compagni affronteranno nelle pagine de Caccia al serpente bianco, il rischio di spoiler è elevato e non voglio caderci. Ma soprattutto non voglio privarvi della lettura di assedi e scontri mozzafiato, troppo spesso ripuliti da fango, sangue e puzzo di morte, descritti invece da Giulio Costa con maestria, dovizia di particolari e con un alto grado di veridicità. Non voglio rovinare il racconto della prigionia di Kaern il cacciatore di mostri, indiscusso personaggio preferito di chi sta scrivendo, che incolla il lettore alle pagine del libro, trasportandolo in una buia cella a picco sul mare. Non voglio anticipare la magia, tanto cercata dal lettore fantasy, dell’incontro con centauri, nani e goblin, né raccontare come gli archetipi del genere siano ben sviluppati e mai fuori luogo.

Sull’aspetto psicologico-emotivo dei personaggi, c’è un leitmotiv che accomuna alcuni di loro, ed è quello del rapporto genitore-figlio. Dagar, il principe di Vanadia, appare incapace di governar, perfido e senza scrupoli; la sua è una rabbia generata dalla predilezione del padre per il fratello maggiore scomparso; Kaern ha scelto la vita del ramingo per sfuggire da un padre sanguinario. E infine, o soprattutto, ci sono Aren e Ura: da un lato la volontà di redimersi da colpe non sue (la morte del figlio), dall’altro il senso di abbandono travestito da odio profondo verso il padre, partito per una nuova missione. Un tema abbastanza sviluppato ad inizio romanzo, che purtroppo si diluisce molto nella lettura, andando quasi a perdersi. Sicuramente non è facile mantenere questo confronto vivo, poiché i due personaggi coinvolti sono geograficamente lontani: forse qualche capitolo in più con protagonista Ura (riaffiorato dalla narrazione solo nei capitoli finali)avrebbe potuto aiutare a sviluppare meglio il tema.

Caccia al serpente bianco è sicuramente un buon esordio per Giulio Costa, capace di mettere in pratica l’esperienza di attento lettore fantasy, senza cadere nel banale o nel trito e ritrito. Visto il finale, si preannuncia un sequel imperdibile dove, ne sono certo, l’autore sorprenderà nuovamente gli appassionati del genere.



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