Storie di musica, oltre gli spartiti.

Leggere ascoltando musica è un’attività che divide la platea dei lettori forti: qualcuno ha sviluppato il superpotere di non farsi distrarre dal testo delle canzoni; altri la trovano una distrazione. Il sottoscritto la tollera, purché muta: non a caso ha creato una playlist Spotify intitolata Instrumental bibliomane. Parole e note diventa però un binomio indissolubile per L’uomo del metrò di Attilio Piovano: un romanzo che va oltre lo spartito, mettendo a fuoco gli uomini che si celano dietro ai grandi compositori del passato.

Jean, il protagonista della cornice in cui sono racchiusi i racconti del romanzo, è quello che Svevo avrebbe definito un inetto: un impiegatuccio parigino con aspirazioni intellettuali, scontento delle sue giornate grigie, alla perenne ricerca di un modo per evitare che il tempo gli scivoli addosso. Spesso fugge con la fantasia in ricordi e tempi lontani, stimolato dagli odori: “gli odori erano quanto in genere più ricordava dei luoghi. […] Gli risvegliavano ricordi netti e quasi gli suggerivano la sequenza dei pensieri che subito iniziavano a fluire con ordine”.

Si ha spesso un’immagine cristallizzata dei grandi nomi della Storia: sempre motivati, sempre ispirati, con la testa piena di discorsi alti e la bocca piena di parole auliche. Sarà stato mai così? Picasso avrà rimandato, una volta nella vita, la sveglia? Pavarotti si sarà dovuto cimentare, qualche volta, con le insidie del traffico? Shakespeare raccontava anche barzellette o parlava solo di teatro? Dante, da ragazzino, avrà anche lui vissuto i drammi dell’acne giovanile e della prima barba lanuginosa? L’uomo del metrò ha il merito di rendere concreta non solo una materia, la musica, ma anche coloro che vi hanno dedicato la propria vita.

Scopriamo così che la cameriera di Beethoven odiava quel suo Ta ta ta taa, suonato a ogni ora del giorno e della notte, destinato a diventare uno dei capolavori della musica classica. Un datore di lavoro esigentissimo e dal carattere impossibile: “componeva come un forsennato: imbrattava come al suo solito un mucchio di carte, faceva mille abbozzi, […] e quando non ne poteva più di scrivere e la testa gli scoppiava prendeva un secchio d’acqua e se lo rovesciava addosso”.

Oppure che dietro ai capolavori di Astor Piazzolla, forse Il musicista argentino per antonomasia, si celino in realtà dolori e passioni di una milonga di Buenos Aires. Piovano ha la capacità qui di far emergere la passione di queste melodie sudamericane, così descritte: “Il tango in breve si fece rabbioso: il bandoneon a tratti pareva ruggire, la percussione si fece martellante, ossessiva, e il ritmo di quella musica irresistibile divenne incalzante. […] Slanci improvvisi, stridenti impennate si sprigionavano da quella musica ipnotica e ammaliatrice”.

O ancora gli inizi di Dmitrij Šostakovič che, pianista accompagnatore nei cinema muti di Pietrogrado, veste i panni di eroe e salva l’intera sala da un incendio: “lo strumento stesso aveva preso fuoco, ma il pianista continuò a suonare per non provocare panico in sala. […] La musica aveva permesso di evacuare la sala senza panico”. Infine la tenacia di Charles Ives, compositore classico nordamericano, che fugge dalla monotonia della vita dell’assicuratore la notte, componendo a lume di candela i suoi capolavori.

E ancora Bach, Mendelssohn, De Falla, Saint-Saëns, Schweitzer: compositori noti o meno al grande pubblico, raccontati in maniera insolita da un fine esperto della materia. Un’occasione per unire parole, suoni, sentimenti e, perché no, per conoscere nuovi orizzonti musicali. Non resta che munirsi di cuffie e tuffarsi in questo mondo di spartiti ed esistenze.

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