Se non si prestasse attenzione all’anno di edizione, datare alcune storie risulterebbe un lavoro difficile. Si familiarizza con i protagonisti, ci si immerge nei loro vissuti, fatti di gioie e dolori, in un’apnea che solo le letture più accattivanti regalano. In attimi di emersione, ecco sorgere un dubbio: questo libro parla del presente o del passato? E, nel caso di Educazione europea di Romain Gary: sta parlando dell’Europa nazista del primo Novecento o della polveriera che sembra costruirsi attorno all’attuale Unione?
Ed è lì, in quell’attimo di terribile presa di coscienza, che ci si aggrappa alla speranza, la stessa che permea tutto il romanzo dell’autore lituano-francese.

Janek Twardowski ha quattordici anni quando i nazisti decidono di occupare la Polonia: assiste in prima fila al furto di una nazione, oltre a quello della sua adolescenza. Il villaggio in cui è cresciuto non è più un posto sicuro; non gli resta che rifugiarsi nella fredda foresta al confine, aspettando la primavera, e con lei tempi migliori. L’ultimo incontro con il padre, in un rifugio sottoterra, porta con sé un imperativo a cui Janek si aggrapperà per tutto il romanzo: resistenza. Quando questa si fa più fragile, accecata dalla vendetta, non gli resta che cercare quella con la erre maiuscola, come lui rintanata tra le nevi dei boschi.
Come nei suoi racconti western preferiti, incontrerà dei guerrieri, partigiani dai tratti mitologici, ciascuno con diverse motivazioni che li spingono a combattere l’invasore: un padre le cui figlie sono state violentate dalle SS, un macellaio ebreo, qualche soldato dell’ormai scomparso esercito polacco, il padre di un giovane generale sovietico.

Tra questi c’è anche Adam Dobranski, giovane studente partigiano: per molti troppo idealista e romantico, è il personaggio più interessante del romanzo di Gary. In tempo di guerra, dove tutto sembra perso, sta facendo una cosa ai più insolita: scrive un libro, racconta una storia.
“Si intitolerà: Educazione europea. […] Ci sono momenti nella storia, momenti come quello che stiamo vivendo, in cui tutto quel che impedisce all’uomo di abbandonarsi alla disperazione, […] ha bisogno di un nascondiglio, di un rifugio. […] Vorrei che il mio libro fosse uno di questi rifugi e che aprendolo, alla fine della guerra, gli uomini ritrovassero intatti i loro valori e capissero che, se hanno potuto forzarci a vivere come bestie, non hanno potuto costringerci a disperare”
Janek trova conforto nelle sue parole di speranza, è a lui che si affida per andare avanti. Per buona parte del romanzo sarà guidato dal suo cieco ottimismo.

Adam è la personificazione del futuro roseo; immaginando la vita quotidiana del gruppo di partigiani, sicuramente non facile, Adam sarà stato quello sempre fiducioso, ottimista al limite del fastidio. L’influenza su Janek emerge nei dialoghi di quest’ultimo con Zosia, sua coetanea cresciuta troppo in fretta tra violenze di ogni genere:
«Come sarà il mondo nuovo?»
«Sarà un mondo senza odio».
«Occorrerà ammazzare parecchia gente, allora…»
«Occorrerà ammazzare parecchia gente, sì».
«Ma l’odio ci sarà sempre… Ce ne sarà ancora di più…»
«Allora non li ammazzeranno. Li guariranno. Daranno loro da mangiare. Costruiranno delle case per loro. Daranno loro musica e libri. Gli insegneranno a essere buoni. Hanno imparato l’odio, potranno imparare la bontà».
Un ottimismo che sfiorirà alla scoperta della morte del padre. Anche Janek cresce in fretta, non crede più nella bontà: a muoverlo ora è la vendetta, che interrompe la vicinanza tra il protagonista e Adam. Uno rimarrà bloccato nel presente grigio, l’altro continuerà a sperare i tempi nuovi.

Educazione europea racconta di uno dei periodi più bui del Novecento; nonostante ciò ne emerge un fiducioso europeismo, come soluzione ai lunghi veleni tra le nazioni del vecchio continente. La resistenza diventa così il primo passo per una re- esistenza, un nuovo inizio, dell’Europa, plurale e fraterna, che cerca il coraggio di “vincere senza opprimere a nostra volta e [di] perdonare senza dimenticare”: “i credenti si inginocchiarono nella neve intorno all’albero illuminato, gli altri e celebrarono la loro fede nell’uomo con lo stesso fervore con il quale i loro compagni invocavano un diverso infinito”.
Vincere senza opprimere, convivenza di diversi infiniti, Storia come magistra vitae: con lo sguardo del presente, è andata poi davvero così?

Il processo di unificazione europea non è ancora avvenuto nel modo corretto: tanto è stato fatto, tantissimo è a rischio se si osserva lo scenario di questi ultimi due anni, ancora molto può essere fatto. Educazione europea resta quindi una lettura attuale,che alimenta una speranza insolita: che possa essere un giorno superata, data per scontata, non più necessaria.



Lascia un commento