Il desiderio è in crisi; i giovani non fanno più sesso e se lo fanno è di pessima qualità, non in termini di prestazione fisica quanto di esperienza emotiva: cannibalizzato ogni aspetto più profondo, a rimanere è uno sterile e vuoto processo meccanico. Uno scenario tragico, che inevitabilmente genera degli interrogativi: cosa minaccia la sessualità? Quali sono le cause? Quale è la ricetta per invertire la tendenza? Il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han si è posto queste domande in Eros in agonia, trovando in due aspetti la radice di questo male contemporaneo.

La prima grande causa è individuabile in un male ricorrente nelle opere di Byung-Chul Han, ovvero l’erosione dell’Altro. La società a cui apparteniamo, nello specifico la dimensione social dell’ultimo decennio, ha rimodulato il bisogno di riconoscimento: non più in un progetto o idea di mondo comune, a cui si arriva grazie all’incontro-scontro di idee, bensì nella ricerca di persone Altre in cui riflettere se stessi (“si resta uguali a sé stessi e si ricerca nell’Altro soltanto la conferma di se stessi”).

In termini di economia emotiva, è tristemente conveniente: riconoscere l’Altro, volerlo esplorare nel profondo, è faticoso poiché richiede uno sforzo di comprensione e apertura a cui non siamo più abituati. Soprattutto è un rischio emotivo che non siamo disposti a correre. L’eros, massima e intima esperienza dell’Altro, rappresenta quindi un investimento ad altissimo rischio: preferiamo così chiuderci e rinunciare all’esperienza sessuale o, se la si vive, l’Altro diventa solo un bene da consumarsi nell’atto.

Il sesso come bene di consumo è strattamente correlato alla tematica della sovraesposizione alla pornografia, secondo grande causa analizzata in Eros in agonia. L’offerta di questo mercato è illimitata, pronta a soddisfare ogni richiesta, a portata di scroll: tristemente ironiche e vere le battute che ricordano quanto la scelta del contenuto da guardare sia diventato ormai un lavoro stressante. Tutto è stato già visto e riprodotto in un video; è la fine del desiderio, la morte dell’espressione avere fantasie, l’anticamera dell’ansia da prestazione.

La sovraesposizione visiva, in una società dove non si possono “chiudere gli occhi”, ha distrutto la sacralità dell’eros. L’autore affronta questo aspetto a fondo (capitolo “Porno”) parlando di profanazione, intesa come restituzione di un’esperienza riservata a pochi: se ha un’accezione democratica quindi positiva, qui assume tratti negativi perché “l’erotismo non è mai libero dal mistero. Il volto caricato di valore di esposizione fino a scoppiarne non promette alcuno ‘uso nuovo, collettivo della sesssualità’”. Si può pensare a un ritorno alla sacralità dell’immagine del sesso, senza inciampare in estremismi reazionari, al limite del bigottismo? Può esistere un’esperienza cosciente e controllata della pornografia? L’opposto della sacralità può essere solo l’iper sovraesposizione capitalista che svuota i corpi di ogni fascino sconosciuto?
La forza di Eros in agonia sta in questo: non nelle risposte, ma nel potere di suscitare questi interrogativi.



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