Ogni giorno piovono ragionevoli accuse verso la società turbocapitalista a cui tutti, tutti, apparteniamo, soprattutto nei confronti dei costi sociali e ambientali che questo modello paga senza curarsene. Un’indignazione che, neanche a dirlo, si consuma in fretta, come nei migliori fast food: vuoi per spirito di sopravvivenza, vuoi per un egoismo tipico di chi non viene colpito direttamente dalle conseguenze, è un qualcosa che tocca fino a un certo punto. Non ti curar di loro, ma guarda e passa: e se fossimo costretti non solo a guardare quel sistema, ma anche a metterci anima e corpo, soprattutto tanto corpo? Organica, la distopia biocapitalista di Laura Marinelli, è il dipinto di questa angosciante possibilità.

Produzione e consumo sono i principi su cui si basa la società raccontata dall’autrice; entrambi gli aspetti sono rigidamente controllati dal governo: da un lato il Go tiene la popolazione sempre affamata e produttiva; dall’altro la Jester la bombarda di pubblicità e ne iperstimola gli acquisti. In questo clima, la solidarietà è stata criminalizzata, sacrificata sull’altare della Nuova Banconota, unico credo a cui dedicarsi: denaro prodotto con materiale organico umano, raccolto da addetti della Zecca dello Stato. Ruthless, o meglio Ruth, la protagonista di Organica, è una di loro. Cellula anonima in una città-organismo come quella in cui vive, Ruth annulla totalmente se stessa per lo squallido lavoro che deve svolgere; con l’unica preoccupazione di sfamare suo figlio.

La narrazione segue Ruth nella sua squallida e disumana quotidianità, che vede l’individuo diventare materia prima da trasformare. Ruthless, nomen omen, spietatamente si distrugge, strappando se stessa lentamente e in piccoli pezzi, al solo scopo di alimentare una bestia, la Zecca che, proprio come un parassita, succhia lentamente la vita degli ospiti che abita. Le pagine raccontano una scarnificazione: Ruth estrae da sé ogni pelo, unghia, capello o grammo di latte materno e cibo digerito, sognando una banconota da utilizzare per comprare gli ultimi prodotti di punta promossi dalla Jester, ignorando le urla del figlio affamato. Nella società del capriccio imposto, dove un capo di abbigliamento passa di moda dopo tre mesi, slogan, pubblicità, e campagne di marketing invadono la pagina; una tempesta di prodotti contro il lettore, ripetuti allo sfinimento per farlo immergere appieno nell’universo di Ruth.

Universo che poteva essere leggermente più approfondito (come mai il Go e la Jaster sono così potenti? Come lo sono diventati?), senza scadere nella distopia orwelliana largamente diffusa, e mantenendo centrale il racconto umano e angosciante di Ruth. Organica è spietato, non lascia spazio alla speranza e ai mezzi termini: è l’estremizzazione di ciò che è in atto? Magari non si arriverà a una moneta organica, sullo sfruttamento di corpi e anime siamo su una terribile buona strada.



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