Come i fiocchi di neve, anche per le letture di un libro vale il teorema per il quale non ne esiste una identica all’altra: partecipare a un gruppo di lettura è la prova inconfutabile di questa regola aurea. Ciò che proverò a fare nei prossimi paragrafi sarà riassumere il punto di vista dei lettori che hanno partecipato al sesto incontro del gruppo di lettura di Romanzoapranzo.
Non sempre gli sforzi comunicativi di una vita condensati in pagine d’inchiostro a volte dolorose, sicuramente faticose, sono destinati alla gloria eterna. Un effimero successo, poi il passaggio silenzioso sotto lo sguardo indifferente della Letteratura, infine il quasi totale oblio. Di meteore come John Williams, autore americano poco prolifico (4 romanzi) in auge negli anni Sessanta-Settanta (con Augustus vinse ex aequo il National Book Award nel 1973), ne è piena la Storia. Se è tornato alla ribalta decenni dopo, forse la critica dell’epoca non aveva colto l’originalità delle sue opere, grondanti trame avvincenti. No, Stoner non è nulla di ciò: è il romanzo anti-plot, la cronaca di un quasi signor nessuno, affetto da problemi che tutti potremmo avere. Anche in questo, probabilmente soprattutto in questo, risiede il valore aggiunto del romanzo.

Nato nel 1910 da una famiglia di agricoltori del Missouri, dopo la Grande Guerra a cui non partecipa si sposa, ha una figlia, insegnerà lettere all’università fino al 1956, anno della sua morte: “per i più vecchi il suo nome è il monito della fine che li attende tutti, per i più giovani è soltanto un suono, che non evoca alcun passato”. Il romanzo paradossalmente potrebbe concludersi alla prima pagina, dove viene detto già tutto su William Stoner, il protagonista dell’opera di Williams. In un primo momento racconto dell’ascesa del giovane parvenu a stelle e strisce (la bassa estrazione sociale, la fatica degli studi, la svolta economico-sociale), Stoner diventa in breve la cronaca di un inetto (Dante l’avrebbe probabilmente condannato tra quelli sanza ’nfamia e sanza lodo), incapace di reagire al mondo e di esprimere i propri stati d’animo. Colpa o incapacità, su questo è difficile dare un giudizio: può sembrare apatico nei confronti della vita, emotivamente pigro; oppure intelligente, di quelli che si accorgono di ciò che succede attorno a sé, prova silenziosamente a cambiare qualcosa e accetta il fallimento. Si ha la sensazione, a volte, che l’occhio del narratore sterilizzi un po’ la personalità di Stoner, come se gli togliesse il microfono poco prima che trovi la forza e le parole per dire ciò che prova.

Il valore di Stoner, il fascino emotivo che suscita, sta proprio qui, nel suo realismo, nella sua drammatica normalità: non è né un empatico estremo, al limite dello stucchevole, né un cinico arrogante. É una persona reale, e come tale si apprezzano molte sfumature caratteriali, mentre se ne rimproverano altre. La sua incapacità di esternare le emozioni sono state oggetto di grande dibattito: o si apprezza o si critica, ma in entrambi i casi si è identificata una possibile causa nell’analfabetismo emotivo del tempo di Stoner. Culturalmente non si educava (oggi lo si fa?) alla manifestazione dei sentimenti, in nome di un’apparenza di facciata che domina, ancor di più, gli ambienti accademici e borghesi che il protagonista frequenta. William Stoner non ha avuto terreno fertile attorno a sé per esercitarsi con i sentimenti: genitori silenziosi, nati nella terra, plasmati dalla fatica di lavorarla, morti nella quasi totale assenza di dialogo; una moglie incapace di gestire grandi emozioni e di creare rapporti sani con la propria famiglia, un’incapacità che tende a manifestarsi in opposizione, nella distruzione di quei legami.

Per la maggior parte del tempo spettatore e comparsa della sua stessa vita, William Stoner mostra la sua reale natura solamente quando ha a che fare con l’amore più grande della sua vita, con l’insegnamento. Studio, seminari, lezioni, sono il suo rifugio, la dimensione in cui esprime al meglio se stesso, per cui è disposto a combattere e mostrare il foscoliano spirto guerrier che’entro (gli) rugge. Se sia un vinto o un vincitore è stato difficile dirlo, certo è che Stoner, nei suoi non detti, riesce a smuovere le coscienze dei lettori. In un saggio recente è stato definito il “romanzo perfetto”: non so quanto sia calzante questa definizione, certo è invece che sia stato un bene la riscoperta di questa perla di John Williams.
Autodeclassato molto volentieri a braccio scrivente, ringrazio le menti di questi paragrafi: Alessandro, Carlotta, Federico, Gaia, Gianluca, Lucia, Manuel, Martina, Serena, Silvana.



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