Come i fiocchi di neve, anche per le letture di un libro vale il teorema per il quale non ne esiste una identica all’altra: partecipare a un gruppo di lettura è la prova inconfutabile di questa regola aurea. Ciò che proverò a fare nei prossimi paragrafi sarà riassumere il punto di vista dei lettori che hanno partecipato al primo incontro della seconda edizione del gruppo di lettura di Romanzoapranzo.
Nella vita di chi legge, esiste un prima e un dopo La nausea di Jean-Paul Sartre. A scaffale etichettato come classico della letteratura francese, tra i lettori bollato come romanzo divisivo: o lo si mal sopporta in tutte le sue contorsioni, o tra queste si estrapolano rivelazioni epocali. La stragrande maggioranza dei partecipanti al gruppo di lettura, è rimasta soffocata tra le spire dell’esistenzialismo sartriano, abbandonandolo prima della fine. Abbiamo discusso di un libro che quasi tutti non hanno finito: un personalissimo primato che alimenta, nel suo piccolo, la vastissima e lunghissima discussione attorno a questo romanzo.
Un romanzo: è giusto definirlo così? È il delirio di un matto, la finestra su un abisso che nessuno ha il coraggio (o voglia?) di affrontare o la storia di un intellettuale maledetto?

Antoine Roquentin ha trent’anni, una vita avventurosa alle spalle e un compito ben preciso che lo porta a trasferirsi nella piccola città di Bouville: scrivere una tesi di dottorato sulla figura del marchese de Rollebon. Le giornate trascorrono monotone, tra la pensione in cui alloggia che affaccia sulla ferrovia e la biblioteca dove vive gran parte della giornata; unica compagnia, la figura dell’Autodidatta: un umanista che vuole apprendere lo scibile del mondo leggendo tutti i libri della biblioteca in ordine alfabetico. La vera compagnia che vorrebbe è invece quella di Anny, ex fidanzata ormai lontana, presente solo nei ricordi. A riempire ogni istante tra una scarsa azione e l’altra, la sensazione di malessere, di nausea appunto, che alle volte sembra provenire dal profondo della sua anima, altre che circondi tutto e vi sia immerso.
Meno di dieci righe per riassumere la trama di un romanzo che per la maggior parte delle pagine attende, si avviluppa su se stesso, scava nelle ferite e ne apre di nuove, cercando il senso della vita in ogni gesto e parola, sperando di dare forma a quel sentimento in mezzo al petto che accompagna il lettore nel flusso di coscienza di Antoine-Sartre.

Un bel libro, per guadagnarsi questo titolo, deve avere per forza una trama strutturata, o può essere sole e pure sensazioni? È stato questo il cardine della discussione, partendo sì da letture tronche, ma percepite disorientanti, complesse e poco fruibili; poco immersive persino per chi è arrivato alla fine del libro. Chi in cerca di più quotidiano a cui agganciarsi per comprendere meglio il malessere del protagonista, chi avrebbe voluto più nausea per rimanere in carreggiata, se l’obiettivo di Sartre era quello di far arrivare il senso di spaesamento e angoscia, quel giramento di testa esistenziale sintomo del titolo stesso dell’opera, allora La nausea è per molti un libro riuscito, anche con una trama ridotta all’osso. Poteva però fare leggermente di più: sì, anche i giganti della letteratura possono sedere al banco degli imputati del tribunale popolare dei semplici lettori non blasonati.

Se è vero che l’angoscia esistenziale di Antoine colpisce e opprime il petto, non si può dire che si sia però riusciti a empatizzare appieno con lui. Che sia un vero misantropo, come chiede anche l’Autodidatta, è difficile da affermare. Spesso appare come l’intellettuale maledetto, un po’ snob, che squadra tutti dall’alto verso il basso e li marchia come sempliciotti con cui vorrebbe passare il meno tempo possibile (vedasi gli episodi del pranzo con l’Autodidatta e la visita al museo). Forse più che odiare l’essere umano, odia se stesso: si sente diverso da chi gli sta intorno, Messia di un sentire terribile e inguaribile, che gli rende difficile ogni tipo di relazione. Solo non per scelta, inconsciamente cerca le persone non solo per affermare se stesso; quasi prova invidia per gli istanti di serenità che intercetta nelle persone che osserva, lui che sa di non poterne assaporare il gusto.
Antoine è forse anche un deluso, rassegnato di fronte al mondo alla deriva, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale (il libro è stato pubblicato nel 1938, ndr).

La nausea è stato un libro dirompente perché figlio della psicoanalisi di Freud, elemento sicuramente di rottura con il romanzo classico di solo e puro plot. Ma è anche disorientante, non tanto per il tentativo di descrivere qualcosa, quanto per il modo di sentire il mondo attorno a sé: l’esistenza non è percepibile finché non ci si concentra a fondo, lontani dalle distrazioni della quotidianità. Forse proprio questa dimensione introspettiva, seppur complessa e non immediatamente comprensibile, rimane un privilegio, in un mondo che corre: se sia meglio continuare la corsa per evitare domande scomode o fermarsi e cadere nel baratro dell’esistenzialismo sartriano, è l’ennesimo interrogativo che questa lettura suscita.
Autodeclassato molto volentieri a braccio scrivente, ringrazio le menti di questi paragrafi: Alessandro, Carlotta, Dora, Erika, Federico, Gaia, Lucia, Matteo, Miriam, Serena, Silvana.



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