Il potere curativo della parola: no, non è il titolo di un seminario di psicoterapia, né una frase vuota che potresti trovare sotto un qualsiasi post semi-motivazionale. In Streghe di Brenda Lozano, voce tra le più apprezzate nel panorama letterario del Sud America contemporaneo, è la colonna portante attorno alla quale si arrampicano le storie delle donne protagoniste. Pazienti in dialogo sfiorate da esperienze affini e segnate da traumi analoghi, hanno scelto, più o meno consciamente, un rimedio omeopatico, nel senso più letterale del termine: la cura tra simili (dal greco òmoios, «simile» e pàthos, «sofferenza»). Sullo sfondo un Messico bifronte, sospeso tra modernità e tradizioni millenarie; come colonna sonora, le dolci e ammalianti nenie sincretiste della curandería.

Una donna stesa a terra in una pozza di sangue, accanto a un letto: questa la foto che arriva sulla scrivania di Zoé, giovane giornalista di Città del Messico. Determinata a raccontare con rabbia l’ennesima violenza di genere consumata, decide di partire per il remoto villaggio di San Felipe. A muoverla è anche la possibilità di ascoltare la vita di Paloma, questo il nome della vittima, da una donna a lei vicina: Feliciana, forse la curandera del Linguaggio più famosa e popolare del Paese. Figlia di un tempo in cui le credenze popolari sono un ricordo lontano dalle metropoli latine, Zoé è sempre stata scettica in materia di esoterismo e soprannaturale: “ogni tentativo di lucrare sulle credenze altrui mi sembra un imbroglio”. Eppure, anche nella sua famiglia sono capitati episodi non facili da spiegare con la ragione, sensazioni e legami magnetici, coincidenze dagli echi ancestrali, difficili da ignorare anche per le menti più scettiche e razionali.

Con l’anziana curandera scatta immediatamente una sintonia, che mai emerge esplicitamente nella struttura del romanzo: il lettore infatti ci arriva ascoltando le voci distinte delle due donne, divise nella pagina ma unite nei destini alle volte sfiorati. In una normale intervista ci si aspetterebbe un botta e risposta, un dialogo tra le parti, qui invece è come se intervistata e giornalista fossero nella stessa stanza, in silenzio, ognuna intenta ad esplorare le profondità emotive dell’altra. I capitoli così si alternano, in un perenne ascolto reciproco: più strutturati e con una ricerca di linguaggio quelli di Zoé, di chi ha avuto tempo per riflettere, forse troppo, sul suo vissuto; periodi liberi, selvaggi e genuini quelli di Feliciana, in un continuum narrativo alle volte difficile da seguire.

Nella cerimonia curativa di Feliciana la parola, il Linguaggio, è l’unico ingrediente usato per esplorare le “acque profonde” degli individui, per raggiungere un’estasi rivelatoria, capace di lavare il male interiore accumulato da ognuno nella propria esistenza. Dio cristiano e trance sciamanica convivono, tra rituali precolombiani, formule ricorrenti e visioni, donando alla scrittura della Lozano un’energia sincretica ipnotica, luce pulsante alle pagine:
“Io pulisco come l’acqua limpida, pulisco le malattie del corpo, io pulisco le vostre acque profonde come l’acqua che scorre pulisce e alliscia le pietre con il suo scorrere, io pulisco le malattie del corpo come l’acqua pulisce i corpi sporchi e le viscere piene, io pulisco le ombre che sono i dispiaceri perché la luce esiste ma l’oscurità è una sua creatura”.
Anche chi legge si fa trasportare dal flusso di parole, dai dipinti sfocati ma evocativi che ne escono: non si comprende appieno cosa sia il Linguaggio, si sente il Linguaggio, che in ognuno muove immagini diverse.

Dalla parola affiora il dolore delle protagoniste di Streghe, donne mai all’altezza delle situazioni, sempre costrette a dimostrare qualcosa in più degli uomini che orbitano nelle loro vite, vittime di molteplici forme di violenze, sia quelle che lasciano segni sulla pelle, sia quelle che feriscono l’anima. Su tutte la figura di Paloma è centrale: umiliata, emarginata e infine uccisa perché muxe, vale a dire persona nata con caratteristiche biologiche maschili che incarna però un’identità di genere fluida, né completamente maschile né femminile. Un terzo genere riconosciuto già nella civiltà zapoteca, a dimostrazione (l’ennesima, se si considerano anche le hijra dell’India, incontrate in No going back di Maria Tavernini) di quanto le culture indigene avessero modelli di genere diversi, più fluidi e integrati nella vita sociale, prima che venissero demonizzati con la colonizzazione europea.

Streghe di Brenda Lozano è il diario di una sorellanza sussurrata, percepita nei reciproci silenzi, anche in quelli lontani nel tempo. Un libro da sentire prima che da comprendere: magari all’inizio sarà difficile sintonizzarsi sulle onde giuste ma una volta fatto, proprio come la scettica reporter co-protagonista, sarà difficile non riconoscere il potere curativo del Linguaggio, dell’essere empaticamente ascoltati.



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