Come i fiocchi di neve, anche per le letture di un libro vale il teorema per il quale non ne esiste una identica all’altra: partecipare a un gruppo di lettura è la prova inconfutabile di questa regola aurea. Ciò che proverò a fare nei prossimi paragrafi sarà riassumere il punto di vista dei lettori che hanno partecipato alsecondo incontro della seconda edizione del gruppo di lettura di Romanzoapranzo.
Si dice che nella scrittura di un libro la parte più difficile sia la costruzione dei dialoghi; immaginare di far parlare i personaggi per cento pagine consecutive appare allora l’incubo di ogni scrittore. Non per Amélie Nothomb, che del dialogo serrato ha fatto la sua firma autoriale: Cosmetica del nemicosi può definire, in questo senso, la punta di diamante dell’autrice belga. Un romanzo one shot,che si presta agilmente al teatro, meno alla classificazione merceologica delle librerie: finirebbe sullo scaffale del teatro, del pulp, dello psicologico? Se potessimo creare un’etichetta ad hoc, sarebbe probabilmente quella della sceneggiatura noir. Protagonista:il male e la sua alienazione come meccanismo di difesa.

In una sala d’attesa di un aeroporto, Jérome August sta leggendo un libro per ingannare l’attesa, quando viene interrotto da uno sconosciuto, il cui nome si scoprirà essere Textor Texel, fastidiosamente loquace. Un attacco in medias res che lancia subito il lettore in un botta e risposta continuo, privo di qualsiasi approfondimento descrittivo distraente (anche se qualcosa in più, in questi termini, non sarebbe apparso come un diversivo), che dona al tutto un immediato ritmo teatrale e incalzante. Origliando la conversazione di questi due anonimi viaggiatori, la struttura narrativa “lui disse-io dissi” alle volte può apparire disturbante, ma forse era nella strategia dell’autrice rendere stridente il dialogo: in questo modo, infatti, l’ha trasformato in un vero e proprio ricatto verbale da cui il protagonista, come il lettore, non può scappare. La trama di Cosmetica del nemico non è di per sé una passeggiata di salute (si ha la sensazione, alle volte, di avere di fronte John Doe, il fanatico, psicopatico e stereotipato serial killer di Seven); il come questa viene raccontata contribuisce notevolmente a creare l’atmosfera vertiginosa di suspance.

La trama: una discesa folle nei ricordi rimossi di Jérome, il ritorno al dolore dei giorni in cui perse la moglie Isabelle in un omicidio rimasto irrisolto, la scoperta di verità oscene e terribili il cui fautore, per uno scherzo del destino o per un piano premeditato, si para di fronte al protagonista. Il racconto dello stupro e dell’omicidio, dieci anni più tardi, di Isabelle da parte di Textor, è surreale: un dolore sbeffeggiato con macabra ironia (“È lusinghiero uno stupro. È la dimostrazione che uno è pronto a violare la legge per qualcun altro”), raccontato con cinismo e freddezza, da chi è convinto che violenza e amore siano indissolubilmente legati. Come Jérome, anche il lettore in un primo momento non riesce a comprendere il sadico Textor, la sua psiche malata e il suo raccapricciante umorismo. Gradino dopo gradino, però, chi legge traccia il profilo del killer, e non si aspetta che parli in altro modo: entra nella sua mente,si sintonizza con la sua assurda razionalità (senza condividerla, si spera).
Questo è l’elemento di interesse che tiene incollati non solo a Cosmetica del nemico, ma che spinge a interessarsi al pulp: la voglia di capire il meccanismo psicologico dietro al gesto violento, di un qualcosa fuori dall’ordinario e che rimane distante, sulla pagina. La volontà di conoscere Textor sta tutta in una frase che pronuncia poco prima di uccidere la donna: “per me un pazzo è un individuo i cui comportamenti sono inspiegabili. E i miei li posso spiegare tutti”.

Quando sembra che si sia inquadrato Textor e la sua folle mente, quando sembra che sia passato sufficiente tempo per sentirsi moralmente superiori al killer, ecco la rivelazione che stravolge tutto:
– Continuo a non capire in che modo i suoi misteri da quattro soldi la autorizzino a darmi del tu. Non glielo permetto.
– Se non si ha più nemmeno il diritto di dare del tu a se stessi… […]
– Sono te. Sono quella parte di te che non conosci ma che ti conosce fin troppo bene. Sono la parte di te che tu ti sforzi di ignorare.
Il tema del doppio entra prepotentemente nelle ultime pagine del romanzo, in quello che, a questo punto, si può definire un monologo allo specchio. Non sembra quindi un caso che tutta la vicenda sia ambientata in un aeroporto, non-luogo di transizione per antonomasia, limbo in cui l’identità si annulla e si può essere tutti e nessuno allo stesso tempo.Come ne Il ritratto di Dorian Gray, Textor raccoglie il male che Jerome ha fatto nella sua vita, lo allontana, liberando la sua coscienza. In alcuni tratti il primo si sente persino superiore al secondo, perché non nasconde la sua vera natura, ma libera ciò che forse è insito in ogni essere umano.

Visto il titolo della sceneggiatura noir, in riferimento all’ordine universale, alla “morale suprema che determina il mondo”, è lecito chiedersi se la storia di Jérome potesse effettivamente finire in modo diverso. Probabilmente no: ha sempre vissuto come volevano gli altri, tenendo nascosto Textor; il suo omicidio/suicidio era la sola alternativa per confermare l’esistenza del suo alter ego. Forse non si incontravano per la prima volta (come ha fatto a dimenticare la sua nemesi per tutto questo tempo?), ma questa volta ad averla vinta è stato il male interiore e la sua voce rimossa, che ci fa chiedere: cos’è il male? Un insieme di valori che cambiano nel tempo e nello spazio? Qualcosa che vive in ognuno di noi? Comprensibile forse no, ma pensabile?
Allontanarlo da noi, anche su una pagina, ci tranquillizza, eppure è potenzialmente insito in ognuno: ogni essere umano ne è portatore e lo gestisce in modo diverso. Non è necessario, in Cosmetica del nemico, condannarlo o assolverlo: c’è chi riesce a reprimerlo sempre e chi no, chi convive con le sue conseguenze e chi, come nel caso di Jérome, le vede riemergere per chiedere il conto nonostante i tentativi di proiezioni e autoillusioni. Assieme alla straordinaria capacità narrativa di Amélie Nothomb, forse è questa l’unica certezza che ci si porta a casa quando si chiude questo libro.
Autodeclassato molto volentieri a braccio scrivente, ringrazio le menti di questi paragrafi: Alessandro, Carlotta, Claudia, Erika, Federico, Giulia, Lucia, Martina, Matteo, Serena, Silvana, Valerio.



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