Il giocatore, o “bestiario del tavolo da gioco”.

Nel 1866 Fëdor Dostoevskij è preso dalla stesura di Delitto e castigo, opera che lo collocherà nel pantheon della letteratura russa. Non sono ammesse distrazioni; vietate le perdite di tempo: impossibile sprecare parole per altro. Ovviamente non andò così. Tra problemi economici, un editore senza scrupoli e contratti soffocanti, un romanzo di appena 200 pagine pende vita: nasce Il giocatore, destinato anch’esso a diventare pietra miliare della produzione dell’autore.

Nella città di Ruletenburg è arrivata una stravagante compagnia: un generale russo in congedo, la sua figlioccia Polina, un marchese francese, un elegante inglese, due dame francesi e Alekseij Ivanovic, il protagonista, precettore dei figli del militare. Tra di loro non mancano intrecci malsani e intrighi amorosi: mentre il generale squattrinato cerca in tutti i modi di convincere Mademoiselle Blanche a sposarlo; Mr Astley e Alekseij si contendono la giovane Polina, innamorata però del perfido marchese Des Grieux, creditore del patrigno. Solo un evento, atteso da tutti, potrebbe risolvere le faide interne: un telegramma da Mosca che annunci la morte della baboulinka, la severissima, e ricchissima, generalessa Antonida Vasil’vna Tarasevičeva, zia del generale.

In questo clima che assume tonalità comiche, Alekseij cerca in tutti modi di conquistare Polina: il suo è un legame odi et amo, che lo porta ad avvicinarsi al gioco d’azzardo pur di far colpo su di lei. Attraverso gli occhi del protagonista, Dostoevskij conduce un’analisi delle diverse tipologie di giocatori che si incontrano ai tavoli da gioco. Ci sono i gentleman, distaccati dal denaro, che non si scompongono davanti a un’ingente perdita perché pensare di guadagnare attraverso il gioco è un “desiderio plebeo”. Gli statistici, alla ricerca di un sistema, di un teorema che sveli il segreto dietro all’enigma dei trentasei numeri rossi e neri; gli istintivi, che puntano seguendo il sesto senso e i segnali dell’universo. E ancora gli arrabbiati, quelli che giocano dopo le dieci di sera, che “poco si accorgono di quel che accade intorno a loro e di nulla si interessano”. Il giocatore è un vero e proprio bestiario della fauna delle sala da gioco, che una volta varcata la soglia si trasforma e non segue più nessuna logica e morale.

Anche Alekseij  subisce questa metamorfosi. Viene risucchiato dal casinò di Ruletenburg, tra i tavoli di Trente et quarante e le roulette sonanti. Perde tutto, stravince e assiste la generalessa nei suoi deliri ludopatici, in una montagna russa di emozioni contrastanti. È irriconoscibile: Mr. Astley lo descrive così:

Vi siete fatto di legno […] non solo avete rinunciato alla vita, agli interessi vostri e a quelli sociali, al vostro dovere di cittadino e di uomo, agli amici vostri, non solo avete rinunciato a qualsiasi scopo all’infuori del vincere al giuoco, ma avete rinunciato anche ai vostri ricordi […] i vostri sogni, quelli di adesso, i vostri più quotidiani desideri non vanno oltre il pair et impair, il rouge, il noir, i dodici numeri medi.

C’è dell’autobiografico in questo romanzo? Dostoevskij amava il gioco, sì: spesso i soldi guadagnati dalla vendita delle sue opere servivano a saldare debiti o ad alimentare la sua dipendenza. Smise solo nel 1871, dopo il successo delle sue opere e grazie alla moglie che cominciò a controllare i conti di famiglia.  Il giocatore è nato di corsa (numerosi infatti gli errori e le incongruenze), in soli ventiquattro giorni, per evitare che una clausola contrattuale (entro il primo novembre del 1866 doveva essere consegnato un manoscritto di almeno 192 pagine)  consentisse all’editore Stellovskij di impadronirsi di tutti i diritti futuri dello scrittore moscovita. Paradossalmente dobbiamo dire grazie a quel cavillo legale, senza il quale oggi non avremmo questo libro tra le mani.

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