Spesso l’autore del genere distopico percepisce un pericolo della società e del tempo in cui scrive, lo esaspera e lo proietta in un futuro lontano. Una forma di mite esorcismo che ha coinvolto molti autori del Novecento: Wells, Orwell, London, Huxley; fino ad arrivare a Roth, King e Collins. Ray Bradbury invece, sembra fallire in questo: oggi, leggendo Fahrenheit 451, si ha la sensazione che le sue percezioni e la sua idea di società si siano fatte realtà.

In un futuro non ben specificato, possedere libri è diventato un reato. A stanare i trasgressori della legge ci pensano i vigili del fuoco che, armati di cherosene, girano per le città appiccando roghi alle biblioteche illegali. Guy Montag, uno di questi pirofili, conduce una vita insignificante: una casa come tante, un matrimonio piatto, nessuna voglia di porsi domande e tanta invece di farsi scivolare la vita addosso. A destarlo da questa monotonia è Clarisse, una ragazzina curiosa e fuori dagli schemi: l’incontro con lei, e l’immediata sua sparizione, accenderanno una fiamma diversa in Montag, quella della ribellione. L’attrazione per l’oggetto proibito era già insita in lui, portandolo ad allestire una piccola biblioteca clandestina in casa; Clarisse ha innescato gli interrogativi sulla pericolosità dei libri e sul perché ci sia questa necessità di distruggerli. Ma soprattutto: ha fatto esplodere il desiderio di aprirli e leggerli. Questo lo renderà un criminale, denunciato dalla moglie, perseguitato dagli incendiari e costretto a lasciare la città dopo un omicidio.

Ciò che angoscia di più di Fahrenheit 451 non è lo scenario del rogo dei libri, immagine sicuramente terribile che rimanda a pagine drammatiche del secolo scorso, bensì la fotografia della società e dei rapporti tra persone che Bradbury ha ipotizzato potessero manifestarsi nel futuro. Il mondo in cui vive Montag è svuotato da ogni forma di empatia in nome dell’individualismo, le relazioni sono di facciata, costruite per convenienza: “È l’epoca della carta igienica. Ti soffi il naso su un persona, la appallottoli, la getti via, tiri la catena e lo sciacquone se la porta via”. La velocità muove macchine e corpi, che non possono permettersi nessuna forma di perdita di tempo in nome della monetizzazione di quest’ultimo. Questo ha razionalizzato tutto, anche la lettura: “I libri si fanno più brevi e sbrigativi […] Giornali tutti titoli e notizie, le notizie praticamente riassunte nei titoli. Tutto viene ridotto a pastone, a trovata sensazionale”. Bradbury sembra aver sentito puzza di clickbait e corsi online per guadagnare velocemente già settant’anni fa.

In questo clima, cultura umanistica e istruzione assumono un’accezione negativa; artisti e filosofi diventano bersaglio di discriminazione: la gente non ha bisogno dei perché ma dei come; l’uomo istruito vuole elevarsi sugli altri, è una minaccia al principio di uguaglianza. La soluzione? Al posto di istruire ed elevare tutti, si affossa ogni forma di cultura; il fuoco è la livella purificatrice che può mantenere lo status quo. Gli intellettuali, ronin senza cattedra, vivono così nella clandestinità, lontani dalle città. Con loro, finalmente Montag sente di avere un ruolo nel mondo, un valore: se non si possono possedere libri, la sua memoria sarà il supporto del sapere, diventando il volume di una biblioteca vivente. “Abbi cura della tua salute. […] Tu sei il Libro dell’Ecclesiaste. […]Sono io la Repubblica di Platone. Vuoi leggere Marc’Aurelio? Il professor Simmons è Marc’Aurelio.”

Ray Bradbury si è dimostrato non solo un genio creativo nel dare forma al mondo fantascientifico di Fahrenheit 451, ma anche un osservatore attento e lungimirante dell’epoca che ha vissuto. Affinché realmente non si avveri tutto ciò che l’autore ha scritto, ognuno di noi deve farsi custode della cultura umanistica, in attesa che rinasca come una fenice dalle sue ceneri.