Ma ci pensi mai/ A noi due, agli sbagli/ A chi ci ha preso in giro/ Agli sbalzi d’umore che ci causano drammi/ Che schifo avere vent’anni. In Mancarsi, i Coma_Cose cantano le difficoltà di chi sta uscendo dall’adolescenza e sta varcando la porta del mondo dei grandi. Se v’è certezza sul mantra “età diverse, problemi diversi”, non è così scontato invece che i problemi delle generazioni passate siano totalmente distanti da quelli degli odierni ventenni. Preoccupante? Un po’: in teoria progredire significa anche stare meglio dei propri genitori. Rileggere oggi Tutti giù per terra, a distanza di ventotto anni dalla pubblicazione, permette di sottolineare questo fil rouge che accomuna generazione X e Zoomer. Da appartenente all’ultima categoria, non nascondo di aver trovato un qualcosa di autobiografico nelle pagine di Giuseppe Culicchia.

Walter ha vent’anni, la caotica e industrializzata Torino di fine anni Ottanta è il palcoscenico su cui va in scena la sua vita. Quando la cartolina verde del servizio militare giunge a casa sua, è ancora confuso e disorientato rispetto al futuro. Opta per il Servizio civile, senza troppe motivazioni etiche o ideologiche. Mentre “serve la patria” nel Centro Accoglienza Nomadi e Extracomunitari, si iscrive a Lettere e Filosofia, convinto così di circondarsi di essere umani interessanti e non da squali arrivisti. Io e Walter abbiamo studiato nello stesso edificio e, dopo quarant’anni, la descrizione che fa è ancora (purtroppo) calzante: “un grande parallelepipedo in vetro e cemento armato, proprio come il palazzo dell’ONU, ma coricato su un fianco, sporco e senza New York attorno. Tutto in quel posto era grigio”.

Coprotagoniste del romanzo sono le paure e le angosce, onnipresenti e varie, che stritolano Walter; sa che prima o poi ci cadrà dentro e diverranno realtà. È spaventato dal mondo del lavoro, alienante e capace di trasformarlo in mero ingranaggio di quello che definisce essere un meccanismo omicida: “tre settimane di ferie all’anno. Otto ore di lavoro al giorno. […] Non avrei più potuto disporre del mio tempo ma renderne conto a qualcun altro”. Gli annunci di lavoro a cui rispondere suonano purtroppo familiari: ”Candidati con almeno un paio d’anni di esperienza nel settore. […] Se non si inizia a lavorare da qualche parte i due anni di esperienza non è possibile farseli in nessun modo”. Immutabilità sconcertante: ieri erano i giornali, oggi Linkedin ma il risultato non cambia.

In questo clima le persone vicine a Walter non lo supportano, anzi decidono di soffocarlo con le aspettative, in una morsa attorno al collo sempre più dura. Tutti pretendono qualcosa in più da lui: i genitori un lavoro più remunerativo al posto di perdere tempo con i rifugiati; gli amici vorrebbero più trasgressione e spensieratezza; le ragazze più virilità e meno “pippe mentali” (a proposito di questo, ricordo di aver coniato un motto assieme a un compagno di università: “meno bovarismo più interventismo”. Neanche a dirlo: mai messo in pratica). È un romantico della vita, non vuole credere sia possibile vivere in un mondo di persone svuotate, involucri ambulanti con l’unica preoccupazione di rispettare regole non scritte. È un alieno agli occhi degli altri perché vorrebbe sposarsi per amore e non per solitudine, lavorare per vivere e non sopravvivere.

Tutti giù per terra racconta anche dell’ultima fiammata dei grandi movimenti studenteschi in Italia, rappresentata dalla Pantera, nato a Palermo e diffusosi in tutt’Italia in risposta alla riforma Ruberti. Nonostante la vasta portata delle proteste e delle occupazioni, che Walter vive in prima persona, già a fine anni Ottanta le facoltà universitarie erano popolate da ragazzi che vedevano le grandi ideologie politiche come una moda. Giovani Leninisti figli di papà, con kefiah, capelli lunghi e casa in centro, discutono di proletariato e di Rivoluzione, inneggiando al Sessantotto e a tutto ciò che poi ne è scaturito. Walter non ci casca, li trova ridicoli e anacronistici: “le scritte dicevano ATTENTI ALLA PANTERA O PAGHERETE CARO PAGHERETE TUTTO”. Sì, pensai, pagheranno. Con l’American Express di platino”. Eppure queste ridicole fazioni fuori dal tempo sono sopravvissute: quando frequentavo l’università, i ciellini si candidavano alle elezioni studentesche e i giovani comunisti (col Rolex come direbbero due cantanti) chiedevano di partecipare alle loro “riunioni proletarie”. Troppo facile vivere con i fantasmi del passato rispetto al formulare nuove proposte.

Giuseppe Culicchia è entrato nella mente di un ventenne della sua epoca, ignaro del fatto che sarebbe riuscito a parlare anche ai coetanei di Walter del futuro. Non so come interpretare i tanti punti di contatto generazionali, seppur con differenze di forma. Dovrebbe essere rassicurante sapere che le preoccupazioni contemporanee e certe dinamiche sociali siano già state affrontate da altri nel passato? Le ridimensiona e le depotenzia? Oppure vedere che molto non è cambiato dovrebbe mettere in allarme sull’immobilismo della società e dei suoi costumi? La risposta la sto ancora cercando.

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