Accorciare la distanza tra sogno e realtà può rivelarsi un’arma a doppio taglio: le aspettative possono essere confermate, addirittura superare la fantasia; oppure schiantarsi contro il muro della concretezza. Mi immagino che chi è costretto a emigrare, faccia i conti con queste due possibilità in ogni momento: chissà quanti interrogativi durante il viaggio in aereo, su un gommone in mezzo al Mediterraneo, in un centro d’accoglienza, nelle giornate di lavoro. C’era una volta un clandestino è prima di tutto la storia dell’odissea di Eltjon Bida, autore del romanzo, poi il bilancio di quelle domande, le cui risposte si ottengono forse nella quotidianità del paese ospitante.

Diciassette anni sono pochi per lasciare il proprio paese, in cerca di cure e opportunità: questa l’età di Elty, ragazzo albanese che tenta in tutti i modi di agguantare le coste italiane. Può quasi sentire il rumore delle città pugliesi tanto è vicino il tacco d’Italia alla sua Albania, già soffocata da decenni di regime comunista e dalla crisi economica dopo la sua caduta, nel 1991. Ogni tentativo di lasciare casa sua sembra inutile: passaporti falsi, contatti con la malavita albanese e bustarelle non bastano. Il viaggio in gommone è l’ultima, disperata possibilità:

“Più aumentava la velocità, più aumentava la quantità d’acqua che ci veniva addosso. Era gelida e quando picchiava sulla faccia faceva più male di uno schiaffo. […] Anche se si andava veloci, la mancanza di punti di riferimento dava l’impressione che si stesse fermi. C’era sempre l’acqua intorno a noi, e pure il buio e le onde. La notte ci aveva circondati con le sue braccia giganti e ci faceva girare alla cieca. […] Avevo sentito dire che gli scafisti tenevano sempre un’arma con loro. Così, per una qualsiasi protesta, ti sparavano e ti buttavano in mare senza pensarci più di tanto”.

Pulizia nelle strade, benessere, auto e donne meravigliose: fin dai primi momenti, l’Italia gli appare come la Terra promessa; l’immaginario che la televisione italiana (una vera e propria istituzione in Albania) ha contribuito a creare, prende forma davanti ai suoi occhi. È a Pretoro, un piccolo borgo abruzzese aggrappato alla Majella, che trova ospitalità dai Bernardi. Tipica famiglia numerosa, agricoltori, grandi lavoratori che si guadagnano da vivere con la schiena curva sulla terra. Lavorando dall’alba al tramonto, Elty ottiene fiducia e diventa uno di famiglia, al punto che si occuperanno anche dei suoi problemi di salute: è migrato infatti per cercare di curare dei calcoli renali, un piccolo problema che nel suo paese, viste le condizioni economiche e sociali, risultava insuperabile.

Nonostante si ritrovi catapultato in un mondo di adulti, fatto di fatica e pochi svaghi, la spensieratezza e la voglia di sognare dell’adolescenza continuano a vivere in lui: la passione vissuta con una ragazza italiana si alterna al desiderio di avere un futuro con lei; è nelle notti passate a parlare di sesso e donne con i suoi colleghi conterranei che nasce un sentimento di fratellanza, indispensabile per sentirsi meno soli a chilometri di distanza da casa. Casa che sente più vicina quando viene a sapere che anche Sem, il fratello minore, ha compiuto la traversata del Canale d’Otranto. Dopo aver perso le sue tracce, scopre essere in nord Italia: Elty non ci pensa due volte, abbandona la pace bucolica del Sud alla volta della frenetica Milano.

È nel capoluogo lombardo, oltre che durante il viaggio per raggiungerlo, che il sogno italiano inizia a scricchiolare, mostrando un’altra faccia fino ad allora solamente sfiorata. Abusi di potere dalle forze dell’ordine, tariffe extra per il solo fatto di essere albanese e notti passate all’addiaccio sono solo anticipazioni di ciò che troverà a Milano. Trovare lavoro pare un’impresa impossibile, così, senza soldi, è costretto a vivere in un vagone ferroviario abbandonato, assieme al fratello e ad altri sventurati. Alcuni di questi vedono la delinquenza come la chiave per un successo rapido, unica apparente soluzione per chi è escluso a priori dalla società. Anche quando la bilancia tra sogno e realtà pende verso il secondo piatto, Elty non si arrende, convinto che un’alternativa ci sia. Non smette di cercare l’amore nonostante sia uno squattrinato, non cede all’illegalità, non molla la speranza che il suo futuro sia in Italia. Nelle ultime pagine, proprio quando tutto sembra perduto, la Sorte sembra schierarsi dalla parte del giovane ragazzo. Per scoprire il finale però, serve leggere Che fine ha fatto quel clandestino? (2021).

L’autore Eltjon Bida ha scritto un romanzo sincero e genuino, che permette al lettore di avere un punto di vista diverso e strutturato del nostro Paese: può imparare ad apprezzare le storie di accoglienza, a riflettere sul pregiudizio e a chiedersi se qualcosa sia migliorato in trent’anni (su quest’ultimo punto non sono, purtroppo, così ottimista). C’era una volta un clandestino ha anche il merito di far luce sul fenomeno migratorio albanese degli anni Novanta, poco rappresentato e dimenticato. Un periodo storico vicino al nostro presente, altrettanto carico di storie di sofferenza e riscatto.