Gratteri, Nicaso e i sintomi di una nuova epidemia mafiosa.

Le mafie: “per dirla con il sociologo francese Émile Durkheim, diventano a pieno titolo agenti regolari della vita sociale”. Un organismo vivente e longevo, mutevole; un virus al quale ancora non si è trovata una cura efficace: ad oggi si prova a tenerne sotto controllo solamente i sintomi. Proprio virus e mafie, in rapporto tra loro, sono stati oggetto di Ossigeno illegale, libro in cui Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica presso Napoli, e Antonio Nicaso, storico delle organizzazioni criminali, pongono l’accento sui rischi dell’emergenza Covid-19 e del post-pandemia.

Le organizzazioni criminali storicamente lucrano sui disastri, sfera in cui, sia nella fase critica che in quella di risollevamento, si muovono grandi quantità di denaro e vige una certa rigidità normativa. Il loro è un agire mosso da una “generosità interessata”: è successo durante l’epidemia di colera di Palermo nell’Ottocento, dopo il terremoto di Messina del 1908, nel 1968 per quello del Belice, per l’emergenza rifiuti in Campania, fino alla più recente emergenza pandemica. A Napoli si è creata una vera e propria rete di assistenza mafiosa, che distribuiva pasti e spesa alle persone senza più lavoro a causa del lockdown. Situazioni analoghe si sono verificate in Messico, in Giappone, in Sudafrica: in Venezuela e Brasile è stata prerogativa criminale anche il mantenimento del distanziamento sociale! In assenza di Stato, o in presenza di uno soffocato da una burocrazia pachidermica, la criminalità corre.

Come hanno inquinato l’economia legale? Anche questa volta, hanno dimostrato una certa poliedricità, vera caratteristica vincente delle mafie: prima della violenza, della segretezza e dell’omertà. Non solo assistenzialismo, prerogativa importante per mantenere il potere e ricattare in futuro la popolazione, ma anche compravendita di dispositivi medici contraffatti, gare truccate per appalti legati all’emergenza sanitaria, frodi del reddito di cittadinanza. E ancora usura e riciclaggio mediante l’acquisizione di aziende: le più remunerative durante la pandemia (onoranze funebri e imprese di bonifica) o quelle da lei messe in ginocchio (settore ristorativo-alberghiero, balneari). La corruzione dei colletti bianchi è il grimaldello con cui aprire le porte al riciclaggio: diventata una “voce di bilancio, ammortizzabile con l’aumento dei costi”, permette di comprare commercialisti, impiegati pubblici, broker, avvocati. Morti di fame (o di morale?) che si comprano con centomila euro: una lacrima rispetto al mare di capitali illeciti delle mafie.

Capitali che provengono prevalentemente dal traffico di droga, attività mai messa in crisi dal Covid. Ragioniamo come si farebbe con un’impresa: al calo drastico di approvvigionamenti dal Sudamerica, l’azienda ha dimostrato di poter soddisfare le richieste di mercato (mai calata, forse aumentata) grazie a stock di emergenza. Ha diversificato i fornitori nel momento in cui la produzione di sostanze sintetiche europea si è fermata, così come le modalità di consegna: il consumatore non si è rivolto più alla piazza ma è stata la piazza ad arrivare al consumatore. Un vero e proprio processo di “uberizzazione” dello spaccio. Inoltre ha cavalcato l’emergenza, aumentando i prezzi del bene di prima necessità: se a inizio febbraio la cocaina costava 25-27 mila euro al chilo, poche settimane dopo, a metà marzo, ha raggiunto i 35-37 al chilo.

In tutte le loro pubblicazioni, Nicola Gratteri e Antonio Nicaso pongono l’attenzione sulla necessità di un cambio d’approccio alla lotta alle mafie. Chi ancora pensa che sia un fenomeno marginale, tutto italiano, si sbaglia, e la pandemia ne è la prova lampante: le infiltrazioni sono presenti in tutta l’Unione, non c’è paese in cui le mafie non abbiano interessi, attività, capitali. Se la Germania “è il paese dove c’è il maggior numero di «locali» di ‘ndrangheta”, a Londra si ricicla la maggior parte dei proventi illeciti, l’Olanda è la nuova porta europea delle droghe, ma si parla solo di Italia, c’è un problema di metodo: “la mafia esiste perché ci sono forze di polizia e magistrati che si ostinano a combatterla. In altri Paesi dove a cercarla sono in pochi, si fa fatica a vederla, o a stanarla”.

Allora il PNRR non è a rischio solo in Italia: se non si legifera nel giusto modo, se non si monitorano i flussi di denaro, passerà alla Storia sì come un secondo Piano Marshall, ma per le cosche.

Giovanni Falcone diceva che “la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”. Davanti alla mutabilità, alla resilienza mafiosa, viene da chiedersi se sia davvero possibile sconfiggerla o se invece non abbia già vinto. Gratteri e Nicaso sostengono che le mafie non scompaiono per lisi, come le grandi epidemie: serve riconoscerle e dire che a tanti “le mafie servono”, assieme ai loro capitali. Avere “il coraggio di ammetterlo” darebbe inizio, realmente, alla loro estinzione.

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