Tornare in un luogo, specie se nella mente vivono ricordi positivi legati a esso, è sempre bello: si spera che alcune certezze vengano confermate e, al contempo, si apprezzano e si cercano novità. Se il luogo in questione è la Genova dell’ispettore Giacomo Minuti, tornarci dopo Ossessione è stato un bel viaggio; un viaggio che si intitola Le colpe dei padri. Nel precedente racconto di Antonio Lidonnici avevo definito l’ispettore “un reporter distratto”, che fotografa ed esalta il capoluogo genovese; nell’ultimo romanzo questa componente lascia il posto a un protagonista più riflessivo, che cerca di fotografare i suoi stati d’animo.

Dopo una lunga convalescenza, Giacomo Minuti inizia una vita nuova che gli calza un po’ stretta: uno stile di vita salutare imposto dalla compagna; le sue pressioni per un cambio radicale di esistenze; una Questura completamente rinnovata dopo un grande scandalo, dai vertici agli uscieri. Cerco le chiavi di casa, ma questa non è casa mia, più mia: i versi vendittiani non potrebbero riassumere meglio il senso di spaesamento generale. Ad attenderlo sulla scrivania, i dossier sulla sparizione di due bambini, la figlia di una coppia gay e il figlio di una prostituta, ai quali se ne aggiungeranno altri due: un bambino nato da fecondazione assistita, e il caso di sparizione di una giovane ragazza rom.

Le ombre degli abusi e della violenza pizzicano il suo pizzetto, radar che non l’ha mai tradito nelle indagini: i posti sicuri diventano trappole, le persone in cui cercare conforto aguzzini. Conosciamo i pensieri torbidi dei rapitori grazie a una narrazione alternata (tondo per Minuti, corsivo per i colpevoli, già utilizzata dall’autore in altre romanzi); in alcuni punti il lettore distoglie lo sguardo dalla pagina, da parole sporche, espressione di crimini inimmaginabili e indicibili. Rabbia e desiderio di vendetta montano nel lettore, sfiorano persino l’ispettore Minuti, uomo di legge, che comprende limitatamente il dolore dei genitori. La genitorialità, mai esperita, è un aspetto su cui Minuti si interroga per tutto il romanzo: “per questo motivo non aveva avuto alcun problema ad aprire i fascicoli, a camminare tra lettini vuoti e giocattoli abbandonati nel bel mezzo della stanza, ancora in attesa del rientro di piccole mani amiche. Perché sono cieco.

Per quanto tempo ancora è disposto a non vedere? Fino a che punto vorrà mettere a rischio la sua relazione, le sue amicizie, per l’amore che prova verso il suo lavoro? Le colpe dei padri mette fine al dogma dell’infallibilità dell’ispettore, archetipo degli archetipi, quello che al primo colpo imbocca la via giusta. Da questo romanzo esce il ritratto di un Minuti in crisi, umano, che sbaglia e inciampa nel relazionarsi con chi gli sta attorno, ma che ha voglia di mettersi in discussione. Manterrà questa indole anche nelle prossime indagini? Quando verranno partorite da Antonio Lidonnici, sarà un piacere tornare a Genova per scoprirlo.



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