Che una città possa diventare protagonista di un romanzo è innegabile; già in una passata recensione ne avevo parlato, interrogandomi in questo modo: “Può l’ambientazione di un romanzo, spesso relegata solo a sfondo delle vicende narrate, elevarsi al grado di protagonista?” Una domanda e una risposta che valgono anche per Ossessione di Antonio Lidonnici, che restituisce una particolare immagine di Genova.

Tra i vicoli del capoluogo ligure avviene un fattaccio: nella propria casa, viene ritrovato il corpo senza vita di Lucrezia, una prostituta cieca conosciuta come la dea bendata. Di una bellezza “che la morte non può scalfire”, la sua compagnia è molto richiesta, soprattutto dai ludopatici: sembra che la sua presenza al fianco della slot abbia il potere di catalizzare le energie della vera divinità della fortuna. Questo il mondo su cui si affaccia l’ispettore Minuti, protagonista del romanzo.

Proprio attorno al gioco d’azzardo ruoterà l’indagine dell’ispettore. Il ritmo veloce con cui descrive il “virus letale”, rende palpabile la frenesia del gioco e dei pensieri del ludopatico: sembra di leggere le prime pagine di ZeroZeroZero di Saviano. Sostanze diverse, stesso grado di dipendenza:

“Giocano i mariti e le mogli, per levarsi dall’abbruttimento del lavoro e della famiglia, a seconda dei casi. Giocano gli avvocati, i notai, i poliziotti, i medici che smontano dal turno di notte, gli autisti degli autobus prima che inizi il loro, di turno. Giocano gli insegnanti, stressati da studenti poco interessati e genitori ancora meno. Giocano tutti, ma nessuno vince. Tutti a sperare, nell’attesa di morire disperati”.

Più che attore principale dell’indagine, Minuti ne diviene il reporter. Mi sbilancio: un reporter distratto che, attraverso i suoi occhi e i suoi pensieri, si concentra più sul restituire al lettore un affresco socio-culturale della città della Lanterna. Si allontana dalle zone più frequentate, si infila nei caruggi e nelle esistenze che li abitano, descrivendo le opposizioni con i quartieri bene della città. Nella narrazione, infatti, esiste una dinamica noi vs loro:

“fino a una certa età non mi era consentito oltrepassare quella linea immaginaria che, almeno secondo i miei genitori, segnava il confine tra il mondo normale e la succursale degli inferi, dove a regnare erano prostituzione, droga e gioco d’azzardo. Nell’ideale di mia madre, e per un bel po’ di anni anche nel mio, abitare dentro o fuori dai vicoli segnava la differenza tra l’essere buono o cattivo”.

La Genova di Antonio Lidonnici appare trasandata e spietata; a tratti arrabbiata. Eppure, grattando la scorza severa che la veste, emerge un fascino allo stesso tempo austero e genuino: “la vista del mare aperto, l’odore dello iodio portato dal vento, l’eco delle sirene che annunciano la partenza, […] il sapore del fritto di pesce che risale dal ristorante di pesce”. Il merito di Ossessione sta proprio nel palesare le due anime della città, le sue zone d’ombra soprattutto, che non possono che stregare il lettore.

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