Neanderthal: c’è sempre qualcuno più europeo di te

La scienza è troppo spesso una questione per pochi, un po’ per l’intrinseca complessità di renderla fruibile a molti, un po’ per la difficoltà di creare una narrazione avvincente attorno a un fenomeno scientifico. Già nel caso dei frattali di Mandelbrot, mi sono dovuto ricredere di ciò, trovando quasi interessante l’acerrima nemica di ogni umanista: la matematica. È possibile ricreare il miracolo? Europei senza se e senza ma di Guido Barbujani ci è riuscito, trattando la tematica della ricerca delle origini con la lente della genetica: uno sguardo sull’Europa dei Neanderthal di 40 mila anni fa e su quella contemporanea, capace di smontare ogni pretesa di superiorità identitaria.

In cosa eravamo simili? Non saprei riassumere i capitoli molto tecnici di Barbujani, ma ciò che ho trovato affascinante della paleoantropologia è quanto lo studio di uno scheletro possa raccontare degli usi e costumi di un lontanissimo passato, delle persone che hanno camminato sulla Terra prima di noi: ho la sensazione che lo studio delle ossa le riduca a oggetti, perdendo di vista che si sta ricostruendo un vissuto, un’esistenza passata. I Neanderthal avevano già un concetto di cura del prossimo, teorizzato dopo lo studio di fratture rimarginate e non fatali per l’individuo; ma anche l’idea di violenza contro un proprio simile, ipotizzato partendo da alcune costole scheggiate da una selce affilata. La conformazione dell’osso ioide (tra mandibola e laringe) di diversi soggetti e il ritrovamento del gene Foxp2, responsabile delle facoltà linguistiche, fa pensare anche che i proto europei sapessero parlare: quale lingua non si può ricostruire, con buona pace dei paleolinguisti.

Nella stratificazione delle nozioni scolastiche, si era persa proprio quella necessaria per comprendere questo libro: non discendiamo dai Neanderthal ma dai Sapiens; queste due specie sono parenti, non discendenti! Si è abituati a pensare all’evoluzione come ad un processo lineare e univoco, quando in realtà si tratta di una ramificazione, dove alcune specie proseguono il loro cammino evolutivo, altre si estinguono prima, alcune convivono con altre prima di sparire. Proprio come è successo tra Sapiens e Neanderthal in Europa: arrivati dall’Africa attraverso il Medio Oriente, i primi si sono stanziati nel vecchio continente, soppiantando i secondi nel giro di 3000 anni. Sulle cause si sono fatte molte ipotesi e dal 2008 a oggi qualcosa è cambiato. Diversi studi affermano che un aumento di raggi UV, dovuto a un cambiamento del campo magnetico terrestre, sia stato fatale per i Neanderthal, carenti di una proteina che “protegge” dai raggi, presente invece nei Sapiens. Altri che, dopo una convivenza non si sa se pacifica o meno, i Sapiens abbiano sviluppato tecniche di caccia e di approvvigionamento di cibo migliori rispetto ai Neanderthal. Un processo di colonizzazione ante litteram, ironia della sorte in direzione contraria, dall’Africa verso l’Europa, rispetto a quello che la Storia avrebbe riservato poi all’uomo.

Allora chi può definirsi un autentico europeo? Questo il grande interrogativo ricorrente nel libro di Barbujani, scritto tra il 2007 e il 2008, quando con la crisi economica si sono manifestati più che mai sentimenti negativi verso l’Europa delle istituzioni e verso chi quel continente lo “assediava” tentando di immigrarci: una situazione oggi familiare. Chi ha il diritto di dirsi più degno di vivere in Europa di un altro? Se si prova a riavvolgere il nastro oltre il progetto di Altiero Spinelli & Co., oltre la rete di monasteri benedettini raccontata ne Il filo infinito di Rumiz, oltre le pluricitate radici giudaico cristiane europee, fino a 40 mila anni fa, la risposta lascia tutti i sostenitori della supremazia europea (e bianca) a bocca aperta: i nostri antenati Sapiens hanno invaso l’Europa, a discapito degli autentici europei, i Neanderthal.

Europei senza se e senza ma ribalta quindi il punto di vista non solo sul passato, ma soprattutto sul presente: casa loro e casa nostra sono qui concetti fragili, eppure vengono perpetrati da una narrazione politica respingente: chi dirà ai politici con stellette che l’europeità somatica non esiste, tanto quanto quella italiana? Una radice europea, un’identità europea comune non esiste; a esistere è una visione europea con al centro proprio la diversità, unico comune denominatore di questo continente. “Non ci sono limiti biologici alla parentela intellettuale, culturale, e addirittura sentimentale fra noi e gli altri”; il legame con un territorio non è dettato dai geni ma da scelte del passato, prese più o meno volontariamente da chi ci ha preceduto: solo il caso ci ha fatto nascere benestanti in una città occidentale o in una realtà di fame e guerra da cui scappare. Per una volta è il caso di dirlo convintamente: è la scienza a dimostrarlo. Ricordarlo non fa male.

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