Il concetto di origini racchiude in se diversi significati. Un antenato, un genitore, un luogo: sono tutte tessere del passato individuale con cui si avrà, nel bene e nel male, sempre un forte legame. Ma questo termine si può riferire anche a una collettività, persino a un intero continente come l’Europa, “un’anomalia democratica che dà fastidio” minacciata da galoppanti nazional-populismi e dalla paura diffusa nei confronti dell’ “Altro”. Da attento e navigato cronista quale è Paolo Rumiz,ne Il filo infinito si pone delle domande, osservando il Vecchio Continente e le politiche in atto al suo interno: l’Unione europea è ancora quel sogno concretizzatosi grazie agli sforzi di personaggi come De Gasperi, Adenauer o De Gaulle? Perché per qualcuno è un progetto fallito? Ma soprattutto, dove ricercare le origini di tale progetto?

L’autore cerca la risposta nei monasteri benedettini che oggi, incuranti delle accuse di anacronismo, sopravvivono eroicamente in tutto il continente: nei secoli si è creata una rete di “caserme della fede” che hanno contribuito, con le loro Regole (la più famosa, ma non l’unica, è quella di Benedetto da Norcia) e con la loro attività di evangelizzazione, ad unire un continente da sempre terra di arrivo delle “ondate violente, spietate e pagane” di popoli orientali. Tramite il racconto di questo pellegrinaggio europeo, Rumiz da speranza a coloro che credono ancora in questo progetto.

Tutto inizia nel 2017, quando l’autore triestino si trova di fronte alle macerie del terremoto che ha squarciato il centro Italia. Castelluccio, Accumuli, Norcia: le terre di Benedetto gli appaiono devastate come la Bosnia o l’Afghanistan, da lui raccontati negli anni da inviato al fronte. Le istituzioni hanno abbandonato quelle terre perché “la montagna non portava e non porterà mai voti”, scordandosi che è lì che si trova la culla della cultura italiana ed europea . Se questa è la situazione in Italia, alzando lo sguardo sull’Europa lo scenario appare ancora più drammatico: movimenti estremisti, xenofobi e antisemiti ottengono consenso; “la cultura è in caduta libera e l’economia ha perso di vista la felicità dell’uomo. Parole come ‘pace’ e ‘solidarietà’ sono derise”. Inaspettatamente però, Rumiz vede una luce di speranza: come una rivelazione divina, tra le macerie della cattedrale di Norcia svetta una statua di san Benedetto patrono d’Europa, che imperterrito continua a indicare il cielo con un dito. “ Cosa diceva quel santo benedicente, in mezzo ai detriti di un mondo? Diceva che l’Europa andava alla malora?”. È il segnale, deve partire alla volta delle ultime isole del clero regolare in un continente che sembra aver perso la rotta, lì troverà le risposte.

San Giorgio Maggiore, Marienberg, Cîteaux, Pannonhalma: dal Belgio all’Ungheria, passando per il Veneto e la Germania, Rumiz condivide oasi spirituali con uomini e donne che hanno fatto voto di castità, povertà e obbedienza, seguendo l’ora et labora come mantra di vita. Il pellegrino Rumiz descrive dettagliatamente, rievocando nella memoria del lettore le architetture del Nome della rosa di Eco, le abbazie che visita; a colpirlo maggiormente però sono le storie di abati, benedettine e cistercensi europei che abitano quei luoghi. Il bavarese Noctker, un monaco rockettaro dell’abbazia di Sankt Ottilien, che suonò con i Deep Purple e insegna ai manager come governare un’azienda nello stile di Benedetto; oppure padre Urban Stillhard, un organista ed esperto di birra trappista che racconta come quella bevanda, assieme al vino, si sia diffusa in Europa seguendo la geografia dei monasteri e sia diventata uno strumento di evangelizzazione. O ancora l’abate di Saint- Wandrille in Francia, che spiega i meccanismi democratici e collegiali che caratterizzano l’ordine fin dal 1115. Sono loro che possono indicare la strada all’Europa, sono loro che possono far riscoprire le sue radici attraverso la Regola.

L’essenza più vera dei luoghi, allora, risiede in coloro che vi abitano. Che ricordo si avrebbe di un viaggio eliminando le persone che si incontrano? Un ricordo piatto, grigio. Cosa sarebbe un monastero, una città, un continente senza i suoi abitanti? Un corpo senz’anima. È nelle risorse umane che bisogna ricercare le proprie radici: ognuno di noi è il risultato di una “rete di fili” che valica confini temporali, spaziali e culturali; che anche se si spezza è possibile risaldare. Sta a noi evitare le rotture e mantenerla salda nel tempo.