Il vocabolario base di un parlante italiano è composto mediamente da 6500 parole: una combinazione di lessico di base, tecnicismi, prestiti linguistici, forme gergali, turpiloquio… . Sembra un numero ingombrante, eppure capita spesso di non trovare le parole giuste per rappresentare un oggetto, uno stato d’animo, un profumo. Non tutto è descrivibile con l’eredità linguistica di Dante: c’è chi, come il protagonista de La casa del tèdi Valerio Principessa, sente il bisogno di migrare verso vocabolari esotici,in modo da riuscire perfettamente a cristallizzare nella memoria un evento e a sprigionare ciò che ha nascosto nelle profondità dell’animo.

Gabriel ama leggere, ed è l’unica attività che lo distoglie dal ricordo di un passato di sofferenza: abbandonato dal padre prima, rimasto orfano di madre poi, trova nei libri un rifugio sicuro. Col tempo si è creato una personale collezione di parole, ognuna delle quali riesce a descrivere al meglio ciò che gli capita attorno. Ibusemi, herbstmelancholie, iktsuarpok, kodawari, mamihlapinatapai: sono solo alcune delle parole-fotografia che usa (lascio al lettore il compito di scoprire i loro significati). Ne ha una anche quando perde la nonna, ultimo frammento di una famiglia scomparsa: engentar, dal messicano, “voglia di mettere il mondo da parte”. Rimasto solo, viene affidato alla signora Michiko, giapponese trapiantata nel rione Monti di Roma, che gestisceuna casa-famiglia: la vita di Gabriel subisce l’ennesimo cambio di rotta.

Gli inquilini di Casa Retrouvailles formano un gruppo eterogeneo, accomunati però dall’aver vissuto esperienze di dolore. Il piccolo Leo, un fragile tornado di energie; Chiara, gli occhi sempre rivolti allo Spazio; Greta, che gli occhi invece non li stacca dal cellulare. Damiano, un moderno Robin Hood scontroso; Amina, silenziosa bambina con un passato difficile di migrazione. Apparentemente incompatibili tra loro, imparano a collaborare quando Michiko scompare misteriosamente: ha lasciato ad ognuno di loro un haiku, una breve poesia giapponese, espressione della loro essenza. Il problema minore è gestire una casa in autonomia, la vera sfida invece è mettersi a disposizione l’uno per l’altro, comprendendo limiti e potenzialità di ogni individuo.

Gabriel sente di non avere un ruolo, incapace di empatizzare con gli altri e di esprimere le proprie emozioni. Vuole cambiare: non si accontenta più di cercare le emozioni tra le pagine dei libri, è determinato a mettersi in gioco e viverle realmente. Apprende da tutti, ma è con Chiara che sperimenta qualcosa di nuovo. Entrambi cercano risposte, lei nelle stelle e lui tra le nozioni dei libri; filosofia e astronomia si fondono nelle loro conversazioni, facendo emergere in Gabriel sentimenti mai provati. “Un sistema binario è l’insieme di due stelle che orbitano attorno a un baricentro comune e hanno un legame gravitazionale […] Che differenza c’è tra gli uomini e le stelle? La gravità e l’amore creano lo stesso legame”: pura astrofilosofia sentimentale (se non esiste questa parola, la si inventa ora).

Gli ospiti di Casa Retrouvailles non crescono solamente tessendo nuovi legami, creando di fatto una famiglia. Maturano soprattutto per sottrazione di legami affettivi: questo l’intento dietro alla scomparsa, temporanea e volontaria della signora Michiko. Il senso di inadeguatezza, di non essere all’altezza come madre adottiva, l’ha portata ad allontanarsi: sente che questo potrebbe sfociare in iperprotezione, in una vera e propria dipendenza emotiva. I giapponesi hanno una parola per descrivere questo stato: “Amae”, traducibile con “dolce”, ovvero un bisogno d’amore innocente, gran parte delle volte, ma anche frustrazione e immaturità”. Nell’abbandono, apparentemente gesto egoista, si cela invece il più puro altruismo, la voglia di lasciare libera l’altra persona. Michiko ha educato all’assenza, condizione nella quale si esce dalla propria comfort zone e si affrontano i propri demoni.
Valerio Principessa, al suo esordio letterario, ha creato un romanzo poliedrico, in cui drammi adolescenziali, sentimenti, comicità e approfondimenti culturali si fondono perfettamente, senza mai prevaricare uno sull’altro. Nel gioco della ricerca di parole, educativo è forse quella che meglio descrive La casa del tè: arricchisce la mente, ma soprattutto arricchisce il cuore.