Queer e India. Due parole che hanno catturato la mia attenzione quando, al Salone del Libro 2024, i miei occhi si sono posati sulle copertine di Prospero Editore: una tematica che non ho mai approfondito, un paese della cui contemporaneità conosco poco. No going back. Storie di giovani queer in un’India che cambia di Maria Tavernini è stato un viaggio lento nel presente e nel passato della penisola indiana, prerogativa più che necessaria per capire una realtà così intricata. No going back è il grande racconto di una nazione, al cui interno vivono le narrazioni delle diverse classi sociali, fatte a loro volta di singole esistenze che lottano per la propria identità: stato, casta e individuo sono i tre livelli su cui si articola questo reportage indiano.

La sezione 377, la legge che criminalizza i rapporti omosessuali, affonda le radici nel colonialismo britannico: entrata in vigore nel 1860, puniva con multe e reclusioni chiunque “abbia volontariamente il rapporto carnale contro l’ordine della natura”. Per anni usata come strumento per delegittimare le persone (esattamente come al tempo dei pirati), negli anni Duemila nelle grandi metropoli indiane si assistette a numerose manifestazioni per la sua abolizione. Solo nel 2009 arrivò una depenalizzazione, che si dimostrerà solo una vittoria mutilata: nel 2013, infatti, per una retromarcia della Corte Suprema indiana, su pressione di alcune organizzazioni religiose, l’omossessualità venne re-criminalizzata. Bisognerà aspettare il 2018 per un ulteriore dietrofront: sia per la pressione mediatica esercitata dallo star system indiano, sia per una mossa di rainbow washing in chiave anti-islamica del BJP (il partito nazionalista hindu di maggioranza, a cui appartiene l’attuale primo ministro, Narendra Modi), l’omosessualità venne depenalizzata, solo nella sfera privata. Agli occhi di un occidentale sembrerà assurdo, ma in un paese come l’India la privacy resta un privilegio.

È stata necessaria “una petizione di persone famose – benestanti di alta casta – per abolire una legge che toccava principalmente i segmenti più marginalizzati e vulnerabili, mettendo in ombra quindici anni di attivismo intersezionale”. Definirsi pubblicamente queer oggi è un privilegio per ricchi: le risorse economiche danno loro la possibilità di studiare, viaggiare, accedere a internet, vivere nelle grandi metropoli, tendenzialmente più aperte alla diversità rispetto ai contesti rurali. No going back mi ha messo di fronte, concretamente, al concetto di intersezionalità e a quanto ogni rivoluzione socio-culturale non riesca a germogliare senza una condizione di benessere economico. Come è possibile che un cambiamento culturale dal basso in materia di diritti, LGBT, di ecologia, possa innescarsi se quel basso fa fatica a mettere insieme il pranzo con la cena? Effettivamente, quanto tempo rimane al basso per interrogarsi sulla propria identità, sul proprio ruolo o su quelli degli altri nella società, se mente e corpo sono impegnati esclusivamente a sopravvivere? Senza una condizione economica di partenza dignitosa, questi argomenti continueranno ahimè ad essere percepiti come questioni da ZTL, argomenti elitari non accessibili a tutti.

Esempi di intersezionalità sono le storie dei singoli raccolte da Maria Tavernini, che abbracciano non solo tutto lo spettro queer, ma anche diverse condizioni sociali, in un paese dove le persone sembrano non crescere mai, ma devono invece chiedere il permesso alla propria famiglia per tutto.
Come Sambhav, giovane abitante del quartiere di Delhi vecchia, che ha trovato nella madre e nella nonna non solo due alleate, ma anche due attiviste: il loro impegno in prima persona ha reso nonna e nipote due volti celebri dell’attivismo LGBT indiano.
Se essere donna è difficile in una società fortemente patriarcale, essere una donna lesbica lo è ancora di più in una fortemente eteronormata dove il matrimonio ricopre un ruolo centrale nella società. Questa è la storia di Karuna, giovane indiana di una famiglia cattolica conservatrice, non dissimile da quella di R, figlia di una famiglia musulmana ultraortodossa del Kashmir. Loro come molte altre persone queer hanno vissuto e vivono quotidianamente violenze psicologiche e fisiche, giustificate da quella che sembra l’unica legge vigente: “Log kya kahenge?”, “cosa dirà la gente?”.
Anche la vita delle donne trans e delle persone nate con tratti intersessuali, appartenenti alla comunità hijra (“la più visibile delle esperienze di genere alternative in India”), non è delle più facili, dal colonialismo in avanti: cacciate di casa o costrette a prostituirsi, prima dell’avvento della Corona britannica erano trattate con rispetto poiché la tradizione hindu deificava queste persone.

Come in ogni viaggio che si rispetti, le aspettative che avevo per No going back sono state piacevolmente disattese, lasciando spazio a nuove riflessioni e complessità di un paese lontano, per certi versi e con le dovute differenze, riscontrabili anche nel Vecchio continente.



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