Come i fiocchi di neve, anche per le letture di un libro vale il teorema per il quale non ne esiste una identica all’altra: partecipare a un gruppo di lettura è la prova inconfutabile di questa regola aurea. Ciò che proverò a fare nei prossimi paragrafi sarà riassumere il punto di vista dei lettori che hanno partecipato al settimo e ultimo incontro di questa prima edizione del gruppo di lettura di Romanzoapranzo.
La valle dei fiori di Niviaq Korneliussen è tutto tranne che un libro agile; non bisogna farsi ingannare dal formato slanciato Iperborea o dal numero di pagine: tra di esse, si celano ferite dolorose e vite che sembrano inevitabilmente destinate all’autodistruzione, quasi come se vi fossero predisposte geneticamente. Geograficamente, è il caso di dire: perché in Groenlandia, terra protagonista e della protagonista, cinicamente sembra che il suicidio faccia parte del paesaggio groenlandese, tanto quanto il ghiaccio e il sole di mezzanotte. Sebbene quello del suicidio sia un tema preponderante nella narrazione, La valle dei fiori è prevalentemente un libro sull’identità, tanto dell’individuo quanto di una paese, legati indissolubilmente. Ma si può dire sia un romanzo riuscito?

Il lettore si trova catapultato nella vita quotidiana della giovane protagonista, una ventenne groenlandese di cui non si conosce il nome, poco dopo la perdita di sua nonna, figura familiare di riferimento. La gestione delle emozioni non è il suo forte: un attimo è in preda a momenti di passione incontrollabile e promesse di amore eterno con la fidanzata Maalina, quello dopo persa nella solitudine di pensieri autodistruttivi; spesso le due cose si accavallano in una montagna russa emotiva tra Eros e Thanatos. L’adolescenza e i problemi che porta con sé emergono soprattutto nella scrittura a tratti infantile, dialoghi o descrizioni che siano: molti anglicismi, testi di canzoni, uso di emoji, linguaggio volgare a sproposito, risposte piccate anche alle più banali domande. A chi ha superato da un pezzo questa fase, lo stile potrà persino risultare insopportabile o faticoso da seguire.

Incapace di chiedere aiuto, figlia di una terra dura che lascia poco spazio ai sentimentalismi e intere praterie all’arrangiarsi da soli, trova una via di fuga nell’esperienza universitaria in Danimarca. Lì, nonostante condivida le turbe di qualsiasi altro suo coetaneo (forse lo stile linguistico vuole proprio sottolineare questo: i giovani groenlandesi non sono diversi dai loro coetanei del resto del mondo), viene vista e si vede come bestia esotica. Diversa fisicamente e nel modo schietto di esprimersi, vive nel limbo del percepirsi ed essere percepita come soggetto culturalmente inferiore e fragile. È soprattutto in queste pagine che Korneliussen innesta la critica al colonialismo danese che, da un lato vuole tutelare l’indipendenza culturale groenlandese purché rimanga sotto il dominio di Copenaghen, dall’altro, in maniera più silenziosa, ricorda a questa terra e alla sua società che deve adeguarsi ai ritmi contemporanei del mondo se non vuole collassare su se stessa.

Cosa offre davvero la Corona, ma soprattutto la Terra Verde, ai suoi figli più fragili? L’autrice non risparmia critiche neanche alla sua gente, delineando un profilo della società groenlandese che tutto appare tranne che perfetta. La protagonista, come molte delle persone che si sono tolte la vita e che si incontrano nell’arco narrativo, sono abbandonate a se stesse, senza una rete di supporto, familiare e statale, che possa cauterizzare l’emorragia di suicidi. Proprio come la sua terra, anche la protagonista sembra non avere alternative se non quella di seguire l’inesorabile destino del ghiaccio natio:
“È il corso della natura che il ghiaccio non rimanga fermo, non è colpa sua. Il ghiaccio continuerà a muoversi, a disperdersi e a ritirarsi e ridursi finché non ce ne sarà più. […] È la via che porta alla sua morte, eppure non può fare a meno di seguirla”.

Tornando alla domanda iniziale: La valle dei fiori è un libro riuscito? Forse non appieno, e la causa sta nel voler affrontare con foga tanti argomenti: la fragilità individuale, il desiderio di indipendenza, la critica sociale, la tematica queerness. Riguardo quest’ultima bisogna dare merito all’autrice di non aver partorito il solito libro sulla relazione tra donne, né sull’accettazione dell’omossessualità: normalizza, cosa straordinaria purtroppo, un rapporto omosessuale. Il fatto che non venga giudicato (almeno nel libro, bisognerebbe approfondire come le tematiche LGBT siano viste in Groenlandia) dai personaggi del libro, è la vera rivoluzione nel libro.
Il desiderio di far sentire la propria voce, di urlare i propri j’accuse al mondo, crea un caotico accumulo narrativo, che riflette in due direzioni: l’impeto della Korneliussen nel voler far luce sui problemi della sua terra; l’incapacità di comunicare il reale stato emotivo della giovane protagonista. Forse una terza superficie riflettente c’è: il lettore adulto, che può tornare indietro nel tempo e pensare alle difficoltà adolescenziali.
Autodeclassato molto volentieri a braccio scrivente, ringrazio le menti di questi paragrafi: Alessandro, Federico, Gaia, Lucia, Serena, Silvana.



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