Quando mi accosto a scrivere di un classico, una sorta di ansia da prestazione fa spesso tentennare le dita sulla tastiera. Schiere di baroni universitari hanno fatto di questo tipo di opera la loro religione, cosa potrò dire io senza sembrare uno stupido? Ma soprattutto: Madame Bovary di Gustave Flaubert necessita proprio della mia riflessione o ne farebbe volentieri a meno, seduto tranquillamente da oltre centocinquant’anni nel pantheon dei capolavori della letteratura francese?
In questa estate di libertinaggio francese, ho potuto toccare con mano un assioma del buon leggere: nei classici si può trovare l’attualità. E no, non sto per scrivere un trattato filosofico sulle scelte della protagonista; ciò che leggerete parte da una frase che potrebbe suonare blasfema e dissacrante, assolutamente senza giudizio: se vi intrigano Temptation Island e Uomini e donne, allora Madame Bovary è il libro che fa per voi.

Emma Rouault è una giovane ragazza francese dal temperamento impetuoso, vorace; vorrebbe una dieta emotiva solo di cose capaci di “saziare immediatamente il suo cuore”. Flaubert non poteva descriverla con pennellata letteraria più elegante: “amava il mare solo se tempestoso e il verde soltanto disseminato in mezzo alle rovine”. Le ragazze del suo tempo però non possono permettersi il lusso della libertà sentimentale, repressa con l’educazione alla parsimonia d’animo, al riserbo, alla subordinazione. Inaspettatamente, entra nella sua vita Charles Bovary, giovane medico self-made man, del quale si convince possa essere un timido raggio di sole di novità. Luce che però si spegne subito: Charles è un tipo qualunque, non è infallibile e di polso come la società vorrebbe un uomo. Un modello interiorizzato anche dalla protagonista, la quale inizia a chiedersi cosa sarebbe successo se avesse sposato un altro uomo. Con questo primo what if, comincia il leitmotiv che fa di Madame Bovary il romanzo per eccellenza del periodo ipotetico, del se e del chissà, declinazione in prosa del congiuntivo.

Un po’ schiava della sua condizione, un po’ borghese annoiata in cerca di novità, madame Bovary, inizia a esplorare la società del piccolo villaggio francese in cui si è trasferita con marito e figlia; vera e propria capitale delle macchiette: il farmacista fervente illuminista, il servo zelante, il commerciante scaltro, la suocera impicciona. Da questo variegato humus sociale, emergono alcuni uomini che attingono da un repertorio di retorica e capacità di dire ciò che Emma vuole sentirsi dire per provare a conquistarne il cuore. Una versione ante litteram di Uomini e Donne ma senza troni, degna del pomeriggio di Canale5, in cui non mancano neanche le esterne, clandestine, ça va sans dire.
Tra i corteggiatori, o tentatori, per gli amanti del famoso falò targato Mediaset, figurano Leon Dupuis, notaio sottone che non crede di essere all’altezza di Emma, inevitabilmente elevata a irraggiungibile donna-angelo, da cui preferisce scappare; ma anche Rodolphe Boulanger, malessere audace e teatrale nei gesti, che prima promette la luna alla protagonista e poi fugge con una lettera stile non sei tu il problema, sono io.

Situationship che non hanno nulla di speciale, pick up line ottocentesche tutto tranne che originali e una protagonista incapace di prendere una decisione, vera e propria ambasciatrice della non-scelta: una trama sciapa si direbbe. Ma allora cosa tiene incollato il lettore a Madame Bovary? Il piacere frizzante del pettegolezzo di paese, l’intrigo amoroso senza meta delle interminabili discussioni, l’appagamento nel sentirsi migliori degli attori delle vicende e il potere di poterli giudicare senza filtri. Elementi che, a pensarci bene, non sono tanto diversi da quelli che fanno il successo dei programmi citati in questi paragrafi, al cui fascino nessuno è immune; neanche coloro che “preferisco i libri a certa tv trash”: mentono a loro stessi. “I love the way you lie” canta Rihanna nella sigla di Temptation: a questo punto non è un caso ma un monito, oltre che la colonna sonora perfetta per il capolavoro di Flaubert.



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