Le parole per descrivere un libro possono perdersi in infiniti giri di frasi, alla ricerca dei termini perfetti da legare tra loro, per esprimere l’essenza emotiva di quelle pagine. In barba a questo, e stando al gioco semplificatore del descriviti con una parola, si può dire che Tasmania di Paolo Giordano sia un romanzo sbandato: sembra andare verso una direzione, poi mutare percorso, infine tornare su vecchi sentieri. L’andamento narrativo riflette un indefinito senso di smarrimento, che attanaglia il lettore e lo pone di fronte a diversi interrogativi.

Giornalista, professore, marito, fisico: questi sono i panni che veste P.G., protagonista e narratore mai citato del romanzo. Vive da spettatore, più o meno vicino, la seconda metà degli anni Dieci del nuovo millennio: è il momento degli attentati al Bataclan e della strage di Berlino a Breitscheidplatz; della COP21 di Parigi; dei primi Fridays for Future e dell’ascesa di Greta Thunberg. “Una cronaca di un tempo recente che appare già lontanissimo”, fagocitato dal non-tempo pandemico. Il mondo sembra aver esaurito i modi per avvisare di un’imminente catastrofe: forse proprio questi segnali muovono il protagonista nella direzione di scrivere un libro sulla bomba atomica.

Partendo dagli esperimenti di Enrico Fermi, padre dell’ordigno, fino al momento dell’esplosione di Little Boy a Hiroshima e Fat Man di Nagasaki, P.G. racconta pagine di Storia troppo spesso messe da parte rispetto ad altre tragedie del Novecento. Un racconto drammatico e straziante, rafforzato dalle testimonianze di alcuni hibakusha (sopravvissuti all’esplosione), che assume sfumature surreali: una distruzione così inimmaginabile e istantanea, che a ricorrere non è la descrizione di un boato o delle fiamme, “tipici” di un bombardamento, ma della luce:
La luce non arrivava da nessuna direzione in particolare: «Era istantaneamente dappertutto». Un tipo di luce «diverso da qualsiasi altro» ha avvolto Terumi di bianco. […] Ha visto la luce cambiare più volte: dal bianco al blu, poi al giallo, al rosso, infine a un rosso molto intenso.
[…] Dopo il flash […] Setsuko Thurlow vide dei superstiti con la pelle che penzolava dalle ossa. […] A un certo punto una donna irruppe portando in braccio un bambino. Era stata accecata dall’esplosione, perciò non poteva vedere che il bambino era morto. Misericordiosamente, il dottore lo prese senza dirglielo, e lei fece in tempo ad apparirgli «sollevata» prima di cadere a terra esanime.

Una prova di Armageddon che ha tenuto il mondo col fiato sospeso per tutto il secolo (e continua a farlo), al quale si aggiungono i cambiamenti climatici, sempre più estremi. Come e dove trovare riparo? Su un’isola “abbastanza a sud per sottrarsi dalle temperature eccessive”, con “buone risorse di acqua dolce” e che “non ospita predatori per l’uomo”; abbastanza piccola da renderla “più facile da difendere. Perchè ci sarà da difendersi”: la Tasmania.

Un luogo sicuro, una dimensione di tranquillità e pace mentre attorno il mondo collassa: questa è anche la condizione in cui si trova il protagonista del romanzo di Giordano. I problemi globali, vista la loro grandezza, appaiono lontani ed estranei; si ridimensionano quando lo sguardo si concentra sull’esistenza del singolo. Ognuno ha la propria “bomba atomica” che fischia sopra la testa, ognuno è in cerca della propria Tasmania: P.G. sembra scappare dalle responsabilità e dalle aspettative che percepisce attorno a lui. Amici e familiari pare abbiano trovato il loro posto, l’obiettivo a cui aspirare: un prete deciso a stravolgere la propria vita per amore di una giovane ragazza; un professore che si gioca la reputazione per un istante di fama; una giornalista paladina della libertà e degli ultimi.

Questa situazione non fa che amplificare il senso di sbandamento del protagonista, che oscilla tra il desiderio di paternità è la convinzione, sempre più forte, che non sia il momento storico per mettere al mondo dei figli; tra moralità e immoralità; fra casa e nomadismo europeo; nel limbo di essere ancora giovane e contemporaneamente già vecchio. A volte sembra invidioso della stabilità degli altri, altre si crogiola nell’essere diverso. A tratti si ha la sensazione che dalla parte della ragione, se bisogna trovarla, sia lui: il livello di consapevolezza raggiunto riguardo l’infelicità lo rende più autentico, accetta che il genere umano sia biologicamente e cronicamente insoddisfatto e che quindi le ragioni di vita dei suoi cari siano menzogne, vuoti obiettivi, per ignorare questo lato inevitabilmente umano.
Paolo Giordano torna con un romanzo complesso, a distanza di quattordici anni dal successo de La solitudine dei numeri primi. Un libro, vista la vicinanza anagrafica e non solo, tra autore e protagonista, con una certa componente autobiografica. Uno spunto di riflessione per chi è in crisi, o per chi vuole prevenirla ponendosi anticipatamente le giuste domande.