Vivere nell’ombra: perché è necessario riscoprire Francesca Morvillo.

Vittime illustri di Cosa Nostra: una locuzione giornalistica che crea morti di serie A e B, condannando questi ultimi all’oblio. Tra le prime, inoltre, c’è un nome che ha subìto una doppia condanna: dimenticata e relegata ingiustamente a un ruolo da comparsa. Stiamo parlando di Francesca Morvillo. Raccontarla è doveroso per due motivi: per ridare dignità a una donna che ha servito lo Stato nella lotta alla mafia, pagando con la vita, e per farla uscire dal cono d’ombra del marito. Le testimonianze racchiuse in Non solo per amore mirano a questi due obiettivi.

La caratura degli interventi, prevalentemente magistrati (la prefazione è addirittura dell’ex guardasigilli Marta Cartabia) e il livello di tecnicismi giuridici presenti in alcune sue parti, fanno di Non solo per amore una lettura a tratti complessa. La parte che colpisce maggiormente è quella intitolata Fotogrammi di memoria. Giuseppe Ayala, Leonardo Guarnotta, Antonio Balsamo, Maria Elena Gamberini, Pietro Grasso, Maria Teresa Ambrosini: amici d’infanzia, colleghi, futuri politici, professori universitari che, come tessere di un puzzle, ricostruiscono l’immagine della magistrata Morvillo, della studentessa Francesca e della donna che ha scelto di stare al fianco del giudice Falcone.

Francesca (userò il nome per rendere umana una figura storica come la sua. Di questo avevo parlato nella recensione di Solo è il coraggio) è stata prima di tutto una studentessa brillante. La sua carriera universitaria è costellata di lodi (persino per “il temutissimo esame di diritto processuale civile”), ripercorsa minuziosamente nel libro. Quattro anni che si chiudono il 26 giugno 1967 con la tesi “Stato di diritto e misure di sicurezza”, premiata con il massimo dei voti e con l’allora celebre premio Maggiore. Poi subito l’esame per entrare in magistratura: come molte sue colleghe di corso ricordano, “mentre molti giovani vivevano una stagione di rivoluzione con le bandiere [il Sessantotto, n.d.r.], noi trascorremmo quegli anni a studiare, non mollando mai. Sforzi che ripagano Francesca: nel 1971, a soli ventisei anni, è magistrata al tribunale di Agrigento, in un periodo storico in cui la carriera giuridica era per le donne ancora cosa rara (l’accesso era stato ottenuto solo nel 1963). Fotografie di un’Italia lontana anni luce da oggi.

Nel 1972 vince un concorso a Palermo presso il tribunale dei minori: la giustizia minorile è stata la sua grande passione, che ha portato avanti per tutta la carriera, anche quando avrebbe potuto ambire a posizioni più prestigiose. Svolge il suo incarico con rigore e professionalità, senza dimenticare il lato umano: “di ciascun imputato conosceva in modo approfondito la storia personale, familiare, sociale, sulla quale si soffermava nel formulare le richieste”. Un’empatia naturale probabilmente, alimentata anche da esperienze professionali passate: prima della magistratura infatti, è stata insegnante in una scuola per figli di carcerati, dove ha potuto toccare con mano il disagio delle zone malfamate della città. Poteva rispondere con il rigore e la severità, ha invece scelto la via della gentilezza, consapevole di aver a che fare con le vittime, non con i collaboratori, della criminalità organizzata. Doti di cura, così le ha definite la sociologa Ombretta Ingrascì, fondamentali per chi, per mestiere, ha a che fare con le persone.

Francesca si è occupata anche di lotta alla mafia, non nelle vesti di moglie premurosa che sa stare un passo indietro dietro a un grande uomo (citazioni di un lontano Sanremo), bensì come parte attiva e collaborativa.: ha partecipato alla stesura dell’istruttoria del Maxi, avendo più esperienza in campo penale rispetto al marito (Falcone aveva iniziato infatti come giudice della sezione fallimentare civile); in alcuni interventi pubblici del marito si possono riscontrare le teorie della moglie. Il rapporto con Giovanni Falcone è prima di stima professionale e poi affettivo; questo non vuole intaccare la loro storia, un amore blindato e riservato, fatto di “certi sguardi d’intesa, che nascondevano la loro voglia di custodire nell’intimità i loro sentimenti”: avendo quest’ultima componente schiacciato mediaticamente la figura di Francesca Morvillo, deve passare in secondo piano per ridare il giusto ruolo a questa donna.

Non solo per amore permette al lettore anche di rileggere gli anni più bui del nostro Paese, scivolato velocemente dal terrorismo allo stragismo mafioso. Un libro necessario, in primis per i futuri giudici e avvocati (un appunto: nell’atrio della facoltà di Giurisprudenza di Palermo manca la foto della magistrata) che devono conoscere esempi virtuosi nel loro campo come Francesca Morvillo. Successivamente per i cittadini, affinché mantengano viva la memoria degli uomini e delle donne (mai come in questo caso è necessario sottolinearlo) che hanno lottato contro la mafia.

Una replica a “Vivere nell’ombra: perché è necessario riscoprire Francesca Morvillo.”

  1. Avatar La storia di Giovanni: oltre l’armatura di Falcone. – Romanzoapranzo

    […] suo punto resta la moglie Francesca Morvillo, magistrata minorile, conosciuta tra i corridoi del tribunale palermitano. La loro è una storia iniziata in salita e […]

    "Mi piace"

Lascia un commento

Romanzoapranzo in sintesi

Rimani aggiornato. Clicca sulle icone!

UNISCITI ANCHE TU! CLICCA SUL LOGO PER LE INFO!